Vi avevo promesso questo articolo durante la presentazione di Sibir: the Zombie Cossacks.
Visto che ogni promessa è un debito da onorare, oggi torno ben volentieri sull’argomento e vi parlo di quei cosacchi che, durante la Seconda Guerra Mondiale, si schierarono con le truppe tedesche, al contrario dei loro confratelli, arruolati nell’Armata Rossa dell’Unione Sovietica.
Questa è la storia di uno dei tanti conflitti fratricidi che sconvolsero la prima metà degli anni ’40 del secolo scorso. Guerre dentro la guerra, in un sanguinoso gioco di scatole cinesi.
Era un’epoca che, per moltissimi versi, doveva apparire come un’imminente fine del mondo. Il mondo in realtà non finì, ma interi popoli vennero sconvolti, ridimensionati, spostati dalle loro terre ancestrali (gli ebrei su tutti, ma non furono i soli). I cosacchi subirono questa sorte.
Durante la rivoluzione comunista che spazzò via l’Impero Russo, furono proprio i cosacchi gli ultimi a cedere ai bolscevichi. Molti continuarono a combattere per le Armate Bianche, fedeli allo zar. Anche dopo il consolidamento dell’Unione Sovietica, la voglia di ribellione continuò a covare tra molti clan cosacchi. L’arrivo delle truppe naziste lungo il fronte occidentale diede ad alcuni di loro la possibilità di prendere le armi contro Stalin, anelando nuova indipendenza.
Oggi come oggi conosciamo la Storia e siamo in grado di giudicarla in modo analitico e lineare.
Durante la guerra (così come in ogni altro periodo di profonda transizione) le cose andavano diversamente. Le informazioni scarseggiavano, gli schieramenti dei vinti e dei vincitori erano da definirsi, così come quelli dei cosiddetti “buoni” e “cattivi”.
Non dubito che i cosacchi filo-tedeschi pensassero di combattere per il bene del loro popolo, anche a costo di usare le armi contro i fratelli arruolati nei ranghi dei sovietici.
Hitler non era visto (non ancora) come il Male assoluto, bensì come un possibile liberatore, che prometteva indipendenza in cambio di sforzo bellico per la causa nazionalsocialista. Non a caso furono proprio i cosacchi arruolati nelle forze armate germaniche a dare prova di essere le divisioni “straniere” più valide, preparate e leali nel combattere gli odiati comunisti russi.
Le loro motivazioni erano molto forti.
Una delle prime unità sovietiche a passare dalla parte dei tedeschi, fu proprio un’unità cosacca: a Rosslav, nell’agosto del 1941, a sud di Smolensk, il 436° reggimento fucilieri della 155a divisione di fanteria dell’Armata rossa agli ordini del colonello cosacco Kononov, si consegnò ai tedeschi, esprimendo il desiderio di continuare a combattere ma contro Stalin. Kononov era un veterano della guerra contro la Finlandia, iscritto al partito comunista dal 1927 e decorato con l’ordine della Bandiera Rossa. Alcune settimane dopo, gli uomini di Kononov erano già in prima linea affiancati alla 78a divisione di fanteria tedesca del Wurtemberg. Subito dopo lo stesso Kononov, chiese il permesso alle autorità germaniche di poter continuare a reclutare volontari russi tra i prigionieri: portato a Mogilev, dove c’erano circa 5.000 russi prigionieri, riuscì a reclutarne 4.000 con i quali venne creata una intera brigata di ausiliari combattenti anti-comunisti posta ai suoi ordini.
Questa unità venne prima designata Kosacken Abteilung 102 e poi 5° reggimento cosacco del Don: l’unità cosacca di Kononow ottenne ottimi risultati combattendo contro le bande partigiane in Bielorussia.
SS cosacco-siberiane.
Questa citazione è tratta dall’ottimo libro di Massimiliano Afiero, I volontari stranieri di Hitler. Un volume che racconta alla perfezione, tra le altre cose, dell’impiego delle truppe cosacche da parte dei nazisti.
Afiero descrive tutte le varie occasioni in cui alcuni alti ufficiali cosacchi ebbero modo di offrire i loro servigi all’invasore tedesco, che d’improvviso veniva visto come amico e liberatore.
Celebre è per esempio il caso del capitano Zagorodni, che nel 1942 formò uno squadrone di cosacchi a cavallo, impiegato in seguito sul fronte del fiume Terek. Lo squadrone venne affidato come scorta alla Terza Panzer Division nei pressi di Iscerskaja, con compiti di sicurezza delle retrovie. Quando le cose iniziarono ad andare male, gli uomini di Zagorodni furono impiegati in prima linea, dove dimostrarono assoluto valore e grande disciplina.
Nel 1944 lo squadrone (ciò che ne rimaneva) venne spostato in Normandia, dove incontrò la sua fine sotto un massiccio bombardamento aereo da parte degli Alleati.
Dopo la disfatta di Stalingrado, le varie unità cosacche filo-tedesche vennero spostate verso ovest, a protezione delle terre conquistate di Polonia e Bielorussia. Più tardi diversi reggimenti furono trasferiti nei Balcani, dove si rivelarono ancora una volta abilissimi nella guerra contro i partigiani comunisti titini.
Alla fine arrivarono perfino in Italia.
Era il luglio del 1944 e il Friuli si trovò improvvisamente “invaso” da oltre 20.000 cosacchi del Don, qui destinati per decisione dell’alto comando militare tedesco, spaventato dall’azione partigiana italiana.
Dall’ottobre del 1944 le colonne cosacche cominciarono a penetrare nelle valli, occupando Tolmezzo e i villaggi fino alla frontiera austriaca. Alla loro guida c’era il generale Domanov, succeduto al generale Pavlov morto in circostanze misteriose: il tenente generale Andrei Shkuro comandava invece la riserva cosacca. Domanov fissò il suo quartier generale a Gemona del Friulì.
Giunse in Italia settentrionale anche il maggiore della Wermacht Oscar Müller, come ufficiale di collegamento presso le truppe cosacche L’Alto Comando SS da parte sua stabilì a Tolmezzo l’ufficio “Kosaken-Kaukasier-Verbindungsstelle” per i collegamenti con i reparti cosacchi e caucasici nell’area.
La zona dell’Italia nord-orientale occupata dai cosacchi, venne denominata da questi ultimi “Cossackia”: oltre alla Carnia e al Friuli essa si estendeva a nord-est fino a Gorizia e a sud fino a Palmanova, Pordenone, Sacile e oltre. Molti villaggi furono ribattezzati dai cosacchi con nuovi nomi: Alesso divenne Novocerkassk, Cavazzo divenne Krasnodar, Trasaghis divenne Novorossijsk e cosi via. Tutti nomi che ricordavano i centri cosacchi più importanti o le loro stanitse (insediamenti) del Don, del Kuban e del Terek.
L’occupazione cosacca gravò inevitabilmente sulla popolazione locale, non solo per quanto riguardava l’alloggiamento di una cosi grande massa di uomini, ma anche per il loro sostentamento e dei loro animali: le migliaia di cavalli che si erano portati dietro dalla Russia esaurirono in poco tempo tutte le riserve di foraggio della regione.
Simbolo del Corpo d’Armata della
XV. SS-Kosaken Kavallerie Korps “Kosakken”.
E poi sì: ci furono anche delle SS cosacche.
Sono tra l’altro le stesse che prendo a prestito per la mia novel, Sibir: the Zombie Cossacks, trasformandole in zombie feroci e crudeli, ben lontani dagli stereotipi di George A. Romero. Mi piaceva l’idea di utilizzare questi cosacchi delle “legioni nere” hitleriane come villains, e il risultato, a quanto pare, risulta essere gradevole. Provare per credere.
Alla fine del 1944 venne creato il 15° SS-Kosaken Kavallerie Korps unendo due divisioni di cavalleria cosacca, più un paio di brigate di fanteria.
Il 25 febbraio 1945 esso passò sotto le insegne delle Waffen-SS, dopo un accordo con il comandante dell’unità cosacca, il generale Helmuth von Pannwitz.
Gli effettivi di tale unità erano di ben 52.000 uomini.
Verso il finire della guerra, quando il destino della Germania era oramai segnato, molti cosacchi cercarono la “bella morte”, in alternativa al rimpatrio forzato in Russia, dove li attendeva la tremenda vendetta sovietica.
Molti si scontrarono contro le unità partigiane. Pur essendo stremati, decimati, con munizioni e mezzi ridotti al minimo, i feroci guerrieri del Don riuscirono ancora una volta a dimostrare la loro abilità combattiva. Ciò non li salvò però dallo sterminio, perpetrato con mano altrettanto feroce, da parte degli stessi comunisti a cui per anni avevano dato la caccia.
Altri reggimenti accettarono invece il ritorno in patria.
La punizione di Stalin nei loro confronti fu durissima.
Altri ancora scelsero il suicidio di massa. Quella decisione appariva comunque preferibile rispetto al verdetto del tiranno moscovita.
I più fortunati furono invece quelli che si consegnarono alle truppe Alleate. O almeno, parte di loro furono fortunati, altri meno. Churchill infatti restituì a Stalin i cosacchi catturati dai suoi inglesi, mentre gli americani si rifiutarono di farlo, riservando così un trattamento più umano ai prigionieri finiti in mano loro.
Sibir: The Zombie Cossacks.
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