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I Ferzan in me

Creato il 14 marzo 2012 da Frankezze

I Ferzan in me

Dio ha voluto ineguaglianze, non ingiustizie

Che uno poi ci fa quel cazzo che ci vuole fare con i suoi 7 leuri e ci sono dei “non vorrei mai” in cui non vorrei mai entrare, ma il turbinio delle ragadi perito-anali pronte a citofonare ogni 27 del mese a ricordarmi che di giorni, tra una fistole e l’altra, ne passan pochi che già è nelle sale il nuovo capolavoro cheesy dell’ottomano Ferzan Ozpetek, mi determina un violento e incontrollato prolasso mucoso rettale.

Che uno poi il suo tempo libero se lo brucia come vuole, del meglio del molto meglio di sniffare colla nei parcheggi del Lidl – qualcuno mi obietta – ma 90 minuti di dolore stoico senza redenzione, piani sequenza sulle basette di Luca Argentero, campi e controcampi sulla nuca di Favino, riferimenti freudiani meta-testo, la Margherita Buy quanto ci è piaciuta, brillanti soggettive sulla carbonara, vincono anche sull’inesorabile condanna al loop eterno di quelli che “splendida la fotografia”.

Le voci fuori campo, quelle cristo di voci fuori campo, la scelta del narratore onnisciente, generoso di avverbi modali e secondarie concessive, del ti racconto il definitivamente vacuo raccontabile, gli accadimenti inaccaduti, Luca Argentero che scende le scale, le pause vietnamite di Raoul Bova, la meraviglia del salame di Norcia, la famiglia ritrovata in cucina, la diversità come opportunità, la diversità come bellezza, la terrazza come via di fuga, la terrazza come metafora della terrazza, Lecce, la bellezza e le terrazze, Lecce è bella con le sue chiese-terrazze, colazione come sintesi e cifra della colazione, in terrazza.

L’indomani al bar, preparazione lampo sul Meneghetti, e via di congiuntivi proto-descrittivi sul praticamente nulla osservato, che se mettessero ‘na telecamera nel cesso di Giancarlo Magalli pure Terrence Malick. La disperata sensazione che sia stato un film de merda, trova spazio nell’appurata rassegnazione che tale giudizio possa esser tracciato di omofobia, la sempre green accusa di omofobia, che se non può essere solo un giudizio su un film de merda, ma omofobia, a sto punto famio un partito.

Vedere un film e ricevere in cambio niente, tranne il quasi collettivo plauso dei tuoi vicini di poltrona, mi rende un uomo migliore, perdente, ma migliore.
Avere l’impressione che sia il tipo di film per quel tipo di Italia, avere l’impressione di non far parte di quel tipo di Italia, avere la sensazione di non far parte di niente, avere la percezione di essere in pochi, pochissimi, da riempirci a stento una terrazza.
Musica.


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