I film che passano a notte fonda e che finisci per vederli di notte lo stesso pure se li hai registrati

Da Frogproduction
(sempre a cura dell'ottimo Stefano)

“sempre denaro, maledetto denaro!”: UNA LETTERA ALL’ALBA – Italia 1948, 91’ bianco e nero. Regia di Giorgio Bianchi. È un film elegante, la cocaina per esempio viene sempre detta “quella roba” e non si vede mai, immagino vista l’epoca. Gli spacciatori sono una signora molto ricca dall’accento strano che vive in un bell’appartamento e un ragazzo dall’aspetto curato cui la madre (che muore all’inizio del film ) non ha mai detto chi fosse suo padre. Il ragazzo finirà accusato di omicidio e il padre (senza però rivelarsi) riuscirà ad aiutarlo e a rimetterlo sulla retta via. Belli e pesanti i commenti musicali, quando le inquadrature sono fisse partono gli archi tutti assieme e ogni volta sembra la scena madre conclusiva del film, solo che si continua e ci vuole pazienza a vederlo tutto. Voto: in effetti potevo anche non vederlo.



“soldi, far soldi senza lavorare, son tutti soldi maledetti!”: SENZA PIETÀ – Italia 1948, 94’ bianco e nero. Regia di Alberto Lattuada. Una giovane donna perde il proprio figlio e arriva in una Livorno povera, dominata dai militari Americani e dai trafficanti locali. Sarà introdotta alla prostituzione e cercherà di fuggire assieme al suo nuovo fratello Jerry, un soldato afroamericano così buono da capire di non essere amato e non ostante ciò pronto a tutto per lei. È un film che risente del tempo passato eppure ha dei momenti memorabili: una scena al porto dove Angela, la protagonista ( Carla Del Poggio, struggente nella sua desolazione ) si getta nel mare perché ha capito a cosa andrà incontro; il tentativo di fuga dal carcere militare di Jerry ( c’era finito incastrato dai contrabbandieri ), con il faro del carcere a squarciare la notte e i colpi di mitra ad inseguire il fuggitivo oltre il filo spinato. Finirà male quasi per tutti, l’unica a salvarsi sarà l’amica di Angela, Marcella ( Giulietta Masina ), che per un milione di lire salperà su una barca a remi per imbarcarsi clandestinamente verso l’America. Voto: siamo dalle parti di Europa ’51.
“medicina è amore”: IO ACCUSO – Germania 1941, 120’ bianco e nero. Regia di Wolfgang Liebeneiner. La storia di una donna, Hanna, che improvvisamente si ammala di sclerosi multipla e della corsa contro la malattia di suo marito, Thomas, un ricercatore che proverà fino alla fine a trovare prima l’agente patogeno e poi la cura. Inutilmente. Fino ad assecondare il volere della moglie di morire prima che la malattia diventi troppo penosa per entrambi. La parte centrale del film è densa e commovente, ci sono le fasi della ricerca in laboratorio e i tormenti di un uomo che sa che sta lasciando da sola la propria moglie in un momento così difficile e però non può fare altrimenti. A tenerle compagnia sarà il loro amico d’infanzia e di studi, innamorato anch’egli di Hanna, che finirà prima per accusare Thomas di omicidio e poi per rivedere le proprie convinzioni. La scena della morte di Hanna è notevole, con il loro amico che suona un brano al pianoforte e i due amanti che si tengono vicini e si dicono le ultime parole, rese più leggere dalla morfina. Poi comincia la parte del processo, e il film perde di forza scenica. Verrà appurato che è stata la moglie a chiedere di morire, ma per la legge è ugualmente inammissibile un atto del genere seppure moralmente perdonabile. Il film diventa una sorta di discussione politica sul sistema legislativo e si conclude con il marito che rinuncia ad una scappatoia legale (la perizia non riesce a stabilire se la donna sia morta per la morfina o per la sclerosi multipla) per affermare la giustezza del proprio atto, senza che si sappia se verrà condannato o meno. Voto: interessante come documento.

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