15 film.
Hunger, La effe, ore 21,00.
Primo film di Steve McQueen, anno 2008, e già si capì di che stoffa fosse fatto il gigantesco (in ogni senso) regista britannico. Hunger si sarebbe anche configurato come il primo passo di una trilogia assai coerente intorno al corpo, alle sue costrizioni e alle sue torture, alle sue gabbie e alle sue lacerazioni nei tentativi di uscire da quella gabbia, composta anche dai successivi Shame e il trionfante e oscarizzato 12 anni schiavo. Film, questo, che prende la narrazione anche classica e convenzionale intorno allo schiavismo americano per svellerla e piegarla al discorso sulla sopraffazione e sulla sottomissione, sul potere e il dominio attraverso la carne, la fisicità. Pelle, muscoli, masse coporee e incorporee. Hunger, del 2008, fa lo stesso, ricostruendo la prigionia di Bobby Sands, militante dell’Ira, nel carcere nordirlandese di Long Kesh. Un universo brutale dove l’obiettivo nei carcerieri è quello di spegnere nei detenuti ogni spirito di ribellione, nei detenuto quello di resistere a ogni costo, resistere al ricatto, alla minaccia, anche alle blanidize. Un mondo chiuso, conncentrazionario, che anticipa già quello dei campi di cotone di 12 anni schiavo, ed è strano che non siano stati poi tanti a sottolinearlo. Bobby Sands ingaggerà uno sciopero della fame in sfida al governo britannico, ma la Thatcher non cederà, e Sands morirà. Ucciso, anche, dal peso dell’ideologia, dall’impossibilità di spezzare il contratto di fedeltà alla propria causa e alla propria parte. Il film ci mostra fa la discesa verso il nulla (in)corporeo di Sands con una fedeltà e un iperrealismo che sembrano a momenti sfiorare, da partye del regista, il voyeurismo e il sadismo. Grandissima sceneggiatura: vedere l’incontro di Bobby con il prete. Non si dimenbtica quella cella tutta imbrattata, quasi decorata di merda dal prigioniero. Michael Fassbender si mette fisicamente in gioco fino a diventare lui stesso uno spettro che cammina. Film grandissimo, Steve McQueen è un autore grandissimo.
Nemico pubblico, Iris, ore 21,09.
Lo segnalo per puro dovere di blogger: perché è un film importante che non si può trascurare, di alto budget, di grandi ambizioni, firmato da uno dei migliori registi di Hollywood, Michael Mann, con un cast di lusso (Jonny Depp, Marion Cotillard e Christian Bale) e una storia potente, anche se già mille volte raccontata dal cinema, quella del bandito anni ’30 John Dillinger. Molto atteso, uscito un quattro anni fa, Public Enemies ha deluso (non solo me: gli incassi in patria sono stati di molto inferiori alle previsioni). Forse perché oggi non è più possibile raccontare le gesta di un gangster stando dalla sua parte: non sono più gli anni Sessanta-Settanta di film come Bonnie & Clyde di Arthur Penn. Il mito del buon fuorilegge è fortemente usurato, quasi impraticabile in un momento come questo in cui l’ansia di legalità è forte, giustificata o paranoica che sia. Per farcela oggi con un film così, non bisogna giustificare la violenza criminale né tantomeno estetizzarla: bisogna semplicemente buttarla sul poliziettesco ribaldo, sull’action, come hanno fatto i francesi con l’ottimo Mesrine – Il nemico pubblico (e Michele Placido con Romanzo criminale, e peccato non gli sia riuscita poi l’impresa con il deludente Vallanzasca). Michael Mann invece conserva un approccio empatico vecchio stampo verso il suo protagonista, che manda fuori tempo massimo l’intero film: benissimo girato si intende, ben scritto, però troppo lungo e sfilacciato e senza un baricentro drammaturgico vero. Assistiamo alle avventure di Dillinger, ai suoi colpi in banca, alle sue fughe, alle sue derisorie evasioni, ma non ci appassioniamo mai. Il film non evita manierismi e formalismi, cadendo qua e là nell’illustrazione d’epoca. Ma a deludere di più è Johnny Depp, imbolsito, molle, fiacco, troppo vecchio di almeno dieci anni per il ruolo, con la faccia gonfia e attonita (viene il sospetto che Depp non sia poi quel grande attore che credevamo e che, a dirla fuori dai denti, sia un po’ bollito: impressione confermata da The Tourist). Confrontarlo con il Vincent Cassel di Mesrine per capire il disastro. Però c’è Marion Cotillard, lei sì all’altezza. Quanto a Michael Mann, meglio rivedere i suoi capolavori come Collateral, ridato solo qualche giorno fa in tv e ancora, e più che mai, formidabile (con il Tom Cruise migliore di sempre insieme a quello di Magnolia).
Argento vivo, Rete Capri, ore 21,00.
Defiance, Iris, ore 23,49.
Non ebbe purtroppo alcun successo quando uscì (2008) questo film diverso dal solito, pur se tutto all’interno del genere bellico-avventuroso. Un gruppo di ebrei sfugge nella Bielorussia del 1941 ai rastrellamenti nazisti e forma un commando che combatterà i tedeschi con azioni di guerriglia. Stavolta gli ebrei combattono, ed è questa la diversità di Defiance, quello che lo rende interessante. Con Daniel Craig e Liv Schreiber.
Sex List – Omicidio a tre, Rai movie, ore 23,10.
Un noir alquanto diverso dagli attuali medi prodotti del genere, che una visione se la merita. Con, oltretutto, un cast di primo livello che allinea Ewan McGregor, Michelle Williams e Hugh Jackman (anche produttore). Una contemporaneizzazione dei classici con donna fatale e alquanto dark (lady), dove il bravo ragioniere Ewan McGregor si ritrova, per via di un telefono scambiato, nel sottosuolo newyorkese del sesso facile e promiscuo. Un club in cui, nel più rigoroso anonimato, si prensonocontatti, si fan conoscenze, e poi subito a letto senza complicazioni di innamoramenti e amori. Così sembra. Perché per il nostro signor Alice nel paese delle meraviglie erotiche l’incontro con una bionda sarà l’inizio di un incubo. Non è stato un succeso, ma chi, come me, ama il noir, gli dia un’occhiata. Regia del non proprio famoso Marcel Langenegger. Molto meglio il titolo originale, Deception (Inganno).
Motorway, Rai 5, ore 21,10.
Un poliziotto giovane e molto sveglio. Un pilota che lavora per la mala che nessuno è mai riuscito a fermare. Tra di loro sarà duello. Un Homg Kong-movie adrenalinico e sporco e feroce come si conviene al noir venuto da quelle parti. Del 2012, di serie, ma con dentro tutta l’impronta dei vari maestri dei decenni precedenti, da John Woo a Johnnie To.
Bread and Roses, La Effe, ore 0,00.
Ken Loach in trasferta Usa racconta di sofferenze e diritti dei messicani clandestini. Loach è Loach, prendere o lasciare. Io spesso lascio, quand’è in versione ultramilitante e predicatoria come qui. Lo preferisco quando si diverte e ci diverte, come nell’ultimo La parte degli angeli (e vedremo cosa ci farà vedere a Cannes 2014 con il suo nuovo Jimmy’s Hall). Però bisogna riconoscergli la statura del maestro: moltissimo cinema giovane di oggi, quello più attento ai disagi sociali, lo prende a modello. Attenzione, in questo film del 2000 c’è un Adrien Brody ancora sconosciuto prima dell’Oscar per Il pianista.
Accident, Rai 4, ore 22,47.
Nella serata di Rai 4 un altro noir made in Hong Kong e gli appassionati non se lo lascino sfiuggire. Perché qui, oltre all’inevitabile tasso d’azione, ci sono atmosfere sospese, oscure e plumbee dove il sospetto aleggia e si espande per contagio psichico. Un team di quattro killer professionisti, tra cui una giovane donna, s’è specializzatonel far fuori le vittime designate simulando incidenti. Quando tocca a loro subire un incidente si insinua nella fino ad allora compatta e invincibile squadra il dubbio che qualcuno a sua volta voglia eliminarli.
City of Lost Souls, Rao 3, ore 1,15.
Del 2000, uno dei più amati, e anche eccentrici, film del maestro giapponese Takashi Miike. Un autentico culto. Che parla e indaga – pur nella chiave dell’action – della minoranza brasiliana che da decenni vive in Giappone, misconosciuta realtà affrontata anche un tre anni fa in un bellissimo film presentato al Festival di Locarno, Saudade. Il brasiliano-nipponico Mario fa un gran casino per liberare la sua ragazza cinese che la polizia vorrebbe espellere dal paese, e in elicottero scappa verso la comunità brasileira locale. Ma ci si mette di mezzo la yakuza. Importante. Da vedere, se potete.
Killer in viaggio, Rai 4, ore 0,21.
Nel solco della black comedy britannica, la storia di un lui e una lei di rara laidezza che girano in caravan per le Midlands seminando cadaveri. Il movente? Non c’è. Due disgraziati prigionieri della loro stolidità, della loro opacità morale. Si ride, anche se c’è poco da ridere. Uno dei film più disturbanti degli ultimi anni. Il regista Ben Wheatley firma un’opera di rispetto, ma, spiacente, io questo Sightseers non sono riuscito ad amarlo. (Recensione completa)
Kapò, Rai Storia, ore 21,24.
Il secondo film di Gillo Pontecorvo, girato in quel passaggio tra anni Cinquanta e Sessanta in cui il cinema italiano produsse capolavori e film notevolissimi in quantità impressionante e oggi impensabile. Anche, questo Kapò, uno dei primi film sull’Olocausto e dei più scomodi, perché Pontecorvo (di famiglia ebraica, sarà bene ricordarlo viste le polemiche con cui il suo film fu accolto) decide di focalizzare il racconto su una ragazza ebrea internata in un campo di sterminio che vede morire i suoi genitori e, per sopravvivere, accetta di collaborare con gli aguzzini diventando Kapò, la guardiana feroce di altri internati come lei. La Shoah vista dalla parte dei collaborazionisti, scelta di inaudita temerarietà per quegli anni, e lo sarebbe anche oggi, se è per questo. Indagine di quella zona grigia in cui il bene sfuma e si confonde con il male, in cui la vittima si fa complice del carnefice e carnefice a sua volta. Pontecorvo sceglie la strada sì della denuncia, ma anche del melodramma (Edith, la protagonista, si innamorarerà di un prigioniero russo), realizzando un film unico, non apparentabile a nessun altro. Un oggetto cinematografico anomalo che suscitò discussioni furibonde e che va visto o rivisto assolutamente. Susan Strasberg, figlia del Lee sacerdote massimo dell’Actors’ Studio, è Edith; Laurent Terzieff, meraviglioso attore dal profilo assai racé molto amato in quel tempo dal cinema francese e italiano, è il russo Sasha. Più di dieci anni dopo Liliana Cavani affronterà in Il portiere di notte, con tutt’altro approccio e visione, la tortuosità del rapporto carnefice-vittima, in un confronto a distanza forse inconsapevole con questo Kapò.
Vendetta, Rete Capri, ore 23,00.
Uno dei film meno ricordati (è del 1984) del grande eclettico Dtephen Frears, uno che ha attraversato ogni possibile genere e ogni possibile declinazione del cinema con la massima disinvoltura, e spesso con esiti ottimi. In questo film siamo nel territorio del noir, con due killer che riscono a beccare in Spagna un delinquente che ha tradito, e che dev’essere giustiziato. Lo caricano in macchina e via, verso Parigi, in un road movie sui generis. Cast da urlo: Terence Stamp, Tim Roth, John Hurt e l’allora grande vecchio del cinema spagnolo Fernando Rey.
Riunione di condominio, la7d, ore 21,10.
Si sa, le riunioni di condominio sono uno spaccato della multiformità della vita e dei tipi umani. Un teatrino a volte sconfinante nel dramnmatico, in cui si mettono in scena anche conflitti atroci, idiosincrasie insanabili, scontro di caratteri, bizzarrie, estremismi esistenziali. Questo film del 2002 in chiave di commedia perlopiù buffa racconta di un gruppo di condomini parigini, ed è impossibile . per chi una riunione di condominio l’ha vissuta – non ritrovarsi in un qualche scena, in un qualche passaggio. Con la kieslowskiana Irène Jacob.
Guendalina, Tv2000, ore 21,20.
Uno dei molti coming-of-age in cui Alberto Lattuada ha indagato il percorso di formazione e i punti di passaggio tra adolescenza e giovinezza. Soprattutto di esistenze femminili, perché Lattuada era assai più interessato a turbamenti, silenzi, ombrosità, fascino acerbo delle ragazze dette proustianamente fanciulle in fiore che ai loro coetanei. I dolci inganni, per dire. Oppure questo suo paradigmatico Guendalina, anno 1957, in cui scopre e lancia la futura ‘cerbiatta’ chabroliana Jacqueline Sassard. Guendalina si ritrova a continuare da sola le vacanze estive a Viareggio dopo che padre e madre sono partiti dopo avere per l’ennesima volta litigato. Conoscerà un ragazzo di nome Oberdan cui causerà qualche giuaio, visto il suo carattere fin troppo deciso e perfino intrattabile. Ma sarà per Guendalina il primo passo verso quella cosa che si chiama per abitudine amore. Film compesso e assai chiaroscurato, per niente compiacente e sentimentaloide, pieno di graziama anche freddo e disincantato. Il lucido Lattuada insomma.
The Boxer, Class tv, ore 20,40.
Daniel Day-Lewis torna a lavorare nel 1997 con il regista irlandese Jim Sheridan con cui aveva già girato Il mio piede sinistro, il film che lo aveva portato all’Oscar, e Nel nome del padre. Il sodalizio funziona molto bene anche stavolta, con la storia di un militante dell’Ira che, uscito di galera dopo 14 anni con una vita tutta da reinventare, si mette a tirare di boxe. Ritrova la ex, adesso sposata con il suo migliore amico, e riscoppia la passione. Ma non sarà così semplice, i problemi privati si mescoleranno a quelli politici. Ottimo, solo con un sospetto di manierismo neorealista qua e là. Lei è Emily Le onde del destino Watson.