Non so se i bambini di oggi associno, come accadeva a molti di noi, il Natale al film Disney dell’anno. O ai film Disney, perché i nostri astuti genitori sapevano che piazzarci sul divano e far partire una videocassetta – possibilmente registrata da Tele+ – con un cartone animato Made in Walt equivaleva a guadagnarsi un paio d’ore di relax.
Se non di più, perché le videocassette avevano un nastro particolarmente lungo e si riusciva a registrare ben due film su un unico supporto.
Però anche oggi, trentenni o poco più, molti di noi hanno il film Disney preferito:nel mio caso, e lasciamo da parte le speculazioni psicanalitiche in merito, Peter Pan.
Il problema di una mente ossessivo-compulsiva come la mia risiede appunto nell’ossessione che a volte mi coglie per certi oggetti o prodotti, soprattutto se adiuvata da una folta schiera di amici e parenti illuminati per i quali regalare un cuscino peloso di Tinkerbell ad una trentenne è perfettamente normale.
Qui sopra: il cuscino in questione e una tazza da mezzo litro a tema.
La genesi del personaggio di J.M Barrie, oltre ad essere stata malamente raccontata in Finding Neverland, per ora la lascerò da parte; tanto lo sappiamo tutti che la vena sotterranea di crudeltà e morte che sovente serpeggia nelle fiabe e nei libri per bambini viene bellamente ignorata da mamma Disney, che preferisce finali pucciosi conditi da messaggi subliminali che neanche le linee 144.
A mio parere, la bellezza di Peter Pan risiede, tra le altre cose, nel suo essere eterno e allo stesso tempo “relegato” a un certo periodo: noi lettori lo conosciamo solo in relazione alle avventure del trio Darling, ma l’essenza stessa del suo personaggio lo rende aperto a qualsiasi avventura, precedente e futura.
Lo sa bene Steven Spielberg, che ha dato alle avventure di Wendy & co. un sequel che è un cult, Hook (1991); lo sanno anche Joe Wright e Jason Fuchs, regista e sceneggiatore di Pan, uscito in Italia un mese fa e arrivato nel mio salotto ieri sera.
Pan è un prequel che sceglie una versione molto diversa dalle indicazioni date da Barrie circa le origini del ragazzo che non cresce, che qui passa i primi 12 anni in orfanotrofio, arriva all’Isola che non c’è per fare il minatore e fa amicizia con personaggi particolari che torneranno, eccome se torneranno, nella versione classica che tutti conosciamo.
Sebbene si perda parecchio il senso profondo di Peter Pan, il film è molto gradevole, la grafica è spettacolare e i dialoghi, improntati su un tipo di umorismo molto inglese, rendono alcuni personaggi particolarmente brillanti.
La battuta finale, per dire, è esilarante, sebbene il terzo atto del film non mi sia piaciuto molto.
Anche i pirati che cantano Smells like teen spirit con i bambini-minatori sono notevoli.
Insomma, è un film che guarderei volentieri con i miei cuginetti e nipoti la sera di Natale, ma in versione trilogia insieme alla versione Disney e a quella di Spielberg.
Però visto che di orfani si parla, e che mentre una trentenne si emoziona davanti a un film per bambini c’è chi manco una casa per ripararsi, io la butto lì: affanculo i regali di Natale, meglio una donazione ad un’associazione seria e affidabile che si occupa di bambini in difficoltà.
Così per dire, poi se preferite regalare le vasche da bagno plasticose Sephora va bene uguale.