Il Festival di Berlino 2013 rievoca il mito del leggendario River Phoenix con un film atteso per quasi vent’anni: Dark Blood. L’attore e musicista statunitense, tragicamente scomparso nel 1993 all’età di ventitré anni in seguito ad un’overdose, arrivato giovanissimo al successo con film come Stand by me – Ricordo di un’estate e Belli e dannati, è il protagonista di questa pellicola avvolta da un’aura quasi mistica.
Dark Blood rimase incompiuto a causa della morte di Phoenix; il regista olandese George Sluizer, dopo aver inizialmente abbandonato il progetto, ha deciso di rimetterci mano, montarlo e presentarlo fuori concorso alla Berlinale.
La storia narra di Boy, vedovo che vive isolato tra le montagne rocciose e contaminate da esperimenti nucleari, costruendo bambole dai poteri magici in attesa della fine del mondo. La sua quotidianità viene alterata dall’arrivo di una coppia, Harry (Jonathan Pryce) e Buffy (Judy Davis), in cerca di aiuto per far ripartire loro automobile in panne; inizialmente disponibile, Boy subisce presto il fascino della donna e decide di imprigionarla insieme al consorte nella speranza di rifarsi una vita con lei.
La famiglia Phoenix (tra cui il fratello Joaquin) non ha concesso l’autorizzazione al progetto ed è facile comprenderne il motivo: trattasi di puro sciacallaggio. L’immagine iconica di River Phoenix (che decisamente non offre la sua migliore performance) viene banalmente e brutalmente sfruttata in nome di un’operazione più che discutibile, di una sceneggiatura sgangherata e di una vicenda che definire poco credibile è generoso.
Per sopperire alle scene mancanti, lo stesso regista funge da voce narrante per descrivere tutto ciò che non è riuscito a girare: scelta rischiosa e dannosa anche se, a rigor di logica, l’unica possibile. Sluizer conferma in ogni caso gli enormi limiti dimostrati nelle sue precedenti pellicole, tra cui Il mistero della donna scomparsa (1988): assolutamente incapace di mantenere un senso del ritmo nella narrazione e di dirigere in modo degno gli attori, fa risultare sottotono l’intero cast, a partire dagli spaesati Pryce e Davis.
L’ennesima delusione di questo Festival.
Voto: 1/4