È uno degli autori più acuti e innovativi del nostro cinema.
Giorgio Diritti, nel giro di promozione del suo ultimo film, ha fatto tappa Giovedì 4 Aprile al cinema Mignon di Mantova, dove ha conversato con il pubblico al termine di una proiezione speciale della sua ultima opera: “Un giorno devi andare” (i suoi due film precedenti sono “Il vento fa il suo giro”, 2005 che diventò un caso nazionale, restando in programmazione al cinema Mexico di Milano per oltre un anno e mezzo e il commovente “L’uomo che verrà”, 2009, David di Donatello per il miglior film nel 2010).
È in tale occasione che l’abbiamo intervistato.
Fin dal suo esordio con “Il vento fa il suo giro”, il suo cinema si è da subito distinto per una chiara volontà di uscire da schemi precostituiti, proponendo idee nuove e coraggiose. Da dove nasce tutto questo coraggio nello sperimentare?
Ritengo che cercare una propria originalità sia importante.
Io non desidero solo raccontare una storia: ancora più cruciale è per me capire qual è il modo migliore per raccontarla, senza scorciatoie imposte dalle mode o dagli stereotipi.
“Un giorno devi andare” parla di una donna alla ricerca della propria identità fisica e spirituale. In che modo è arrivato alla costruzione di questo personaggio così profondo?
Il personaggio di Augusta è nato da una evoluzione delle mie esperienze vissute in prima persona in Amazzonia, dall’incontro con nuove persone e da letture che mi hanno molto ispirato, facendomi scoprire un altrove non solo geografico
Com’è avvenuta la scelta di affidare a Jasmine Trinca il ruolo principale?
Ho scelto proprio lei perché è di una bellezza particolare ma non invadente e, quando si apre, il suo sorriso illumina il mondo.
Si è peraltro rivelata all’altezza del ruolo per la sua capacità di confrontarsi con il luogo del film e la disponibilità di interagire con gli altri attori.
Nei suoi film (specie in “Un giorno devi andare”) la natura riveste un ruolo determinante, ci può approfondire questo aspetto?
Io parto dalla constatazione che noi siamo natura, a volte noi parliamo di essa come non ne fossimo parte, invece la dimensione naturalistica è fondamentale per interpretare la vita stessa.
Il pubblico ha dato una risposta molto positiva al suo film, come dimostrano i 400 mila euro d’incasso ottenuti in soli 5 giorni di proiezione. Come se lo spiega?
Io cerco sempre di pormi in relazione con lo spettatore come se fosse con me seduto al tavolino a bere una birra. Lo scopo è quello di stabilire una relazione intima, diretta e conviviale. Il mio cinema si può definire popolare nel senso che si rivolge alla gente, parlando dei problemi della gente, In fondo il pubblico non è ebete come alcuni vogliono farci credere. La reazione positiva che c’è stata per i miei film è un segno di forte sensibilità e di altrettanta maturità.
Quale tra i registi internazionali ammira? E tra i suoi colleghi italiani?
A livello internazionale il mio preferito al momento è Alejandro Gonzales Inarritu. Mi piace molto anche Terrence Malick con il quale alcuni critici mi paragonano per la mia attenzione verso gli aspetti naturalistici.
Tra i miei colleghi nutro grossa considerazione per Garrone, Crialese e Sorrentino.
Allo stato attuale, che consiglio si sentirebbe di dare ad un giovane che aspira ad affrontare la carriera di regista e autore?
Ne ho tre: umiltà di osservare, entusiasmo di scoprire le cose e determinazione assoluta.
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