“Quella carogna dalle ali spiegate era la carogna d’un Dio; senza aureola, senza nimbo, semplicemente cinto da quella grottesca corona arruffata, impreziosita solo da stille di sangue, Gesù appariva nella sua celeste Superessenza, tra la Vergine schiantata, ebbra di pianto, e il San Giovanni i cui occhi calcinati non riuscivano più a effondere lacrime” (Joris-Karl Huysmans da “Nell’Abisso”)
“Roman Polanski- Devi assolutamente tornare a Disneyland!”; Federico Fellini- Cosa c’è di nuovo?; Roman Polanski- Dei pirati, mi pare…Ci sono andato tre o quattro volte, ma ero troppo sballato per ricordarmi qualcosa…” (da “Ciao, Federico!” di Gideon Bachman)
Stigma Diaboli
E Dio, annoiandosi, da un costola di tungsteno, creò i fratelli Lumière che, dietro sue indicazioni, inventarono il Cinema. Ma Dio non si aspettava di annoiarsi ulteriormente nel vedere treni in stazioni ed operai all’uscita dalla fabbrica.Quindi, non senza rimorsi, Dio telefonò a Lucifero, ci cui, manco al suo psicanalista, confidava l'invidia l’esibita Bellezza. E Dio disse: “Mi sto annoiando”. Lucifero sputò un ossicino, rise, e disse: “Anche io. Ma ho delle idee”. Dio replicò: “Di te non mi fido, ma ascolto, senza proferir parola”. E Lucifero disse: “Non ti tedierò più di tanto: ma prima devo chiederti di inventarmi almeno un paio di teste di rotolanti, una nave spaziale e la cartapesta”, e Dio disse: “Consideralo fatto. Ma di te continuo a non fidarmi”. E Lucifero rispose: “Io ti dico solo due parole: Georges Méliès. Ma poi a regnare sarà il Caos.” E Dio chiuse la telefonata dicendo: “Io non ne so niente. E spero che il tuo telefono non sia intercettato”.
Il Grande Tentatore, almeno nell’iconografia post-illuminista, non è che sia andato molto di moda. Anche il Satana barbuto ma androgino davanti al quale due angeli agitano turiboli in cima al portico di Saint-Merri, a Parigi, non è che una goliardata, databile a metà dell’Ottocento, di un dispettoso allievo del grande architetto e restauratore Eugène Viollet-le-Duc; nonostante le pagine da “Enfer” letterario si sprechino, Demoni e Sabba latinano a livello pittorico. Quindi, se vogliam assistere- pregando o sghignazzando- a sotuose parate infernali, i casi sono due: o torniamo (tutti in fila longobarda) nelle Fiandre per dannarci estatici con le orge di carne e sangue del misticheggiante Jan van Eyck, e di Hyeronimus Bosch, immaginifico araldo dell’Apocalisse, oppure attendiamo che dalla lanterna magica (la grotta di Platone di Alice) nasca il Cinema, che, come diceva Josef Von Sternberg, “è nato prima dell’uomo” (e l’Herzog di Cave of forgotten dreams gli dà ragione). Se i fratelli Lumière son stati gli operai solerti, senza dubbio alcuno, il primo Grande Affabulatore è stato l’illusionista Georges Méliès che nel suo “Teatro Robert Houdin”, già nel 1896, usava la macchina da presa per giocare col pubblico ad evocar fantasmi. Azione di indubbio fascino, ma perniciosa, se non si conoscono appieno le forze oscure che si disturbano: infatti, già nel 1902, il povero Méliès dovrà fuggire sulla luna, con una risibile navicella spaziale, e chiedere rifugio politico ai Seleniti. Vive, ancora là, il Nostro: pare che ora allevi scimmiette, ma questo è quanto ci dice, anzi ci sussurra, il Mefistofele di Sokurov, quindi non ci è dato sapere quanto sia lecito fidarsi…Una cosa è certa, però: da quando il papà di Le voyage dans la Lune ha agitato le ombre, sulla terra, dai ghiacci della Svezia, alle lande è stato un perpetuo sabba…La stregoniera attraverso i secoli (1922) di Benjamin Christensen, con i suoi luridi congressi carnali tra purulente fattucchiere e Demoni di terza categoria, o The Magician (1926) con i suoi fauni discinti, scesi dalle Folies Bèrger per adorare il Caprone, ne son sconquassante testimonianza. E i Seleniti se la ridono.
Venus in furs
Ma veniamo a Rob Zombie, reduce da una recente scampagnata nel cratere-occhio di Méliès: una salubre rinvigorente vacanze che ha dato al Nostro Adorato Satanasso le forze per comporre una delle più belle serenate del cinema recente. Sì, perché Lords of Salem è in primis un atto d’amore. Un’ode struggente alla propria Musa: la bellissima, callipigia Dea, Sheri Moon, qui nel film della sua vita. Mi si potrebbe obbiettare che “Lords of Salem” è un film “satanico”, una rivisitazione, orgogliosamente vintage, del polanskiano “Rosemary’s baby”. Sacrosanto. Ma che vi aspettate da un geniale ragazzaccio, votato alla Grande Bestia al pari di un Robert Plant, balzato sui palcoscenici di mezzo mondo con un album intititolato “La Sexorcisto: Devil Music”? Dei mandolini? No: un Rosemary’s Baby ove l’auteur (si, signori della Corte: Rob Zombie è un autore) è innamorato sia della propria Mia Farrow che dell’osceno frutto dei suoi lombi. Ma Roman Polanski è un giullare metafisico, nato dalle ceneri della Galka Muszkatulowa (Noce Moscata), leggendario cabaret d’avanguardia polacco e precipitato per caso fra le braccia di Zio Sam: un irrazionalista da vernissage. Un anarcoide mondano…Molto si è discusso dell’influenza avuta da opere come Rosemary’s Baby e L’esorcista sull’immaginario collettivo, pellicole, appunto, accomunate, oltre che per la mefitica presenza del Maligno, anche per il concetto dell’intimità violata, slabbrata, derisa. Un’influenza enorme, ma con una differenza non irrilevante: L’esorcista è il frutto di un tormentato “catto-integralista” (William Peter Blatty) che troverà uno straordinario “promoter” in Papa Paolo VI (“Sappiamo che questo essere conturbante esiste davvero e con proditoria astuzia agisce ancora: è il nemico occulto che semina orrori e sventure nella storia umana”, aveva tuonato il Pontefice il 15 novembre del 1972); Rosemary’s Baby è stato invece forgiato da un simpatico zuzzurellone che ha paura solo del “rosso” in Banca (all’uscita del film dirà: “Non credo né a Dio, né a al Diavolo e sono doppiamente incapace di avere paura del mio film, che mi annoia molto”- “Les Cahiers du Cinéma”, gennaio 1969): tutto giocato sul binomio “soggettività” (lo sguardo allucinato di una Farrow che par uno schizzo di Schiele) e “oggettività” (il lento dipanarsi degli eventi), Rosemary’s Baby si risolve come uno straordinario esercizio di stile sul tema dell’Ambiguità, nel quale lo spettatore è costantemente sballottato tra reale e surreale in gioco di specchi destinati a frantumarsi con gli acuti di una risata. Un riverbero stordente, che gela il sangue, amplificato dal nero eco di grotte, cunicoli e paludi stigie, ma pur sempre una risata… Con Rob Zombie, au contraire, si ride ben poco: perché Rob Zombie a Satana ci crede, eccome. Forse come tutti i nipotini di Baudelaire o gli italici Scapigliati, che ne tessevano le lodi “pour épater le bourgeois”, ma ci crede. E Se Satana domina, allora Sheri Moon è, per dirla col geniale poeta surrealista Robert Desnos, “La Papessa del Diavolo”, predestinata Lilith: a noi non resta che cercare un angolino nella navetta di Méliés, ed osservare questa empia Epifania. Che Dio, o chi per lui, ci aiuti.