LIKE FATHER, LIKE SON di Hirokazu Kore-Eda
Il cinema asiatico ancora protagonista al Festival di Cannes: dopo la buona accoglienza riservata ieri a A Touch of Sin del cinese Jia Zhang-ke, oggi è la volta del toccante Like Father, Like Son, diretto dal giapponese Hirokazu Kore-Eda. Un film sorprendente e che entra già di diritto nella rosa dei favoriti per la vittoria della prestigiosa Palma d’Oro.
La trama ruota attorno a una giovane coppia benestante, con un bambino di sei anni di nome Keita, che vede la propria vita sconvolta da un’improvvisa telefonata: l’ospedale in cui è nato Keita li avverte che c’è stato un involontario scambio di neonati e il loro figlio biologico abita con un’altra famiglia, dal tenore di vita nettamente inferiore.
Cominciando la sua indagine ancora una volta dalla famiglia, dopo aver approfondito l’universo infantile in I Wish (2011), Hirokazu Kore-Eda si concentra questa volta sul ruolo dei genitori, sui loro dubbi e su una scelta (il richiamo del sangue contro l’affetto e l’educazione dati a Keita) che appare semplicemente impossibile.
La pellicola si lascia apprezzare per la sua bravura nello schivare trappole retoriche presenti sul percorso. Infatti la materia affrontata dal regista è particolarmente complessa, ma viene trattata con stile delicato e rigoroso, curando ogni singolo dettaglio dal primo all’ultimo minuto. Like Father, Like Son riesce a toccare corde profonde, soprattutto in una sequenza conclusiva dal fortissimo impatto emotivo.
Voto: 3/4
JIMMY P. di Arnaud Desplechin
In concorso è stato presentato anche Jimmy P., film ispirato a una storia vera, diretto da Arnaud Desplechin e con protagonista Benicio Del Toro.
L’attore portoricano interpreta Jimmy Picard, un nativo americano che, al termine della seconda guerra mondiale, inizia a soffrire di gravi disturbi psicologici e viene internato in manicomio. Incapaci di formulare la giusta diagnosi, i medici dell’ospedale decidono di convocare Georges Devereux, un antropologo francese specializzato nella cultura degli indiani d’America.
Muovendo i suoi passi a partire dal testo Psychothérapie d'un Indien des Plaines: Réalité et rêve, scritto dallo stesso Devereux nel 1951, Desplechin ha voluto raccontare la relazione che si può creare tra chi osserva e chi viene osservato, tra psichiatra e paziente, con ruoli che arrivano quasi all’interscambio.
Nel complesso, Jimmy P. si rivela un prodotto senza infamia e senza lode, ben scritto nei dialoghi ma piuttosto piatto nella messa in scena, che fa tuttavia rimpiangere le precedenti opere del regista francese. Infatti l’eleganza formale che Desplechin aveva mostrato in Racconto di Natale (2008) emerge solo in parte, come se, lasciando molto spazio alle parole e poco alle immagini, avesse messo in secondo piano il suo talento visivo.
Un grande punto a favore della pellicola è però sicuramente la grande interpretazione dei due protagonisti: Mathieu Amalric, nei panni dell’antropologo, si conferma uno degli attori più importanti del cinema francese contemporaneo; Benicio Del Toro è pienamente in parte in uno dei ruoli più intensi della sua intera carriera.
Voto: 2.5/4
LA DANZA DE LA REALIDAD di Alejandro Jodorowsk
In chiusura di questa quarta giornata di festival. segnaliamo La danza de la realidad, il ritorno dietro la macchina da presa di Alejandro Jodorowsky a ventitre anni di distanza da Il ladro dell’arcobaleno.
Presentato all’interno della Quinzaine des Réalisateurs, il film è un progetto autobiografico in cui il regista racconta la sua infanzia a Tocopilla in Cile, il rapporto con i genitori e in particolare con l’autoritario padre Jaime.
I caratteri stilistici che contraddistinguono l'autore sono presenti in ogni sequenza, così come le tipiche figure grottesche (personaggi circensi e deformi in primis) che hanno caratterizzato tutta la sua filmografia.
Grazie al suo tocco surreale, Jodorowsky riesce a raggirare il budget limitato e una sceneggiatura piuttosto ridondante e discontinua: non tutte le sequenze sono ben calibrate ma, nel complesso, lo si può definire un ritorno soddisfacente.
Forse per accentuare ancora di più l'aspetto autobiografico, nel cast sono presenti diversi parenti del regista, tra cui il figlio Brontis che veste i panni del nonno Jaime.
Voto: 2/4
Magazine Cinema
LIKE FATHER, LIKE SON di Hirokazu Kore-Eda
Il cinema asiatico ancora protagonista al Festival di Cannes: dopo la buona accoglienza riservata ieri a A Touch of Sin del cinese Jia Zhang-ke, oggi è la volta del toccante Like Father, Like Son, diretto dal giapponese Hirokazu Kore-Eda. Un film sorprendente e che entra già di diritto nella rosa dei favoriti per la vittoria della prestigiosa Palma d’Oro.
La trama ruota attorno a una giovane coppia benestante, con un bambino di sei anni di nome Keita, che vede la propria vita sconvolta da un’improvvisa telefonata: l’ospedale in cui è nato Keita li avverte che c’è stato un involontario scambio di neonati e il loro figlio biologico abita con un’altra famiglia, dal tenore di vita nettamente inferiore.
Cominciando la sua indagine ancora una volta dalla famiglia, dopo aver approfondito l’universo infantile in I Wish (2011), Hirokazu Kore-Eda si concentra questa volta sul ruolo dei genitori, sui loro dubbi e su una scelta (il richiamo del sangue contro l’affetto e l’educazione dati a Keita) che appare semplicemente impossibile.
La pellicola si lascia apprezzare per la sua bravura nello schivare trappole retoriche presenti sul percorso. Infatti la materia affrontata dal regista è particolarmente complessa, ma viene trattata con stile delicato e rigoroso, curando ogni singolo dettaglio dal primo all’ultimo minuto. Like Father, Like Son riesce a toccare corde profonde, soprattutto in una sequenza conclusiva dal fortissimo impatto emotivo.
Voto: 3/4
JIMMY P. di Arnaud Desplechin
In concorso è stato presentato anche Jimmy P., film ispirato a una storia vera, diretto da Arnaud Desplechin e con protagonista Benicio Del Toro.
L’attore portoricano interpreta Jimmy Picard, un nativo americano che, al termine della seconda guerra mondiale, inizia a soffrire di gravi disturbi psicologici e viene internato in manicomio. Incapaci di formulare la giusta diagnosi, i medici dell’ospedale decidono di convocare Georges Devereux, un antropologo francese specializzato nella cultura degli indiani d’America.
Muovendo i suoi passi a partire dal testo Psychothérapie d'un Indien des Plaines: Réalité et rêve, scritto dallo stesso Devereux nel 1951, Desplechin ha voluto raccontare la relazione che si può creare tra chi osserva e chi viene osservato, tra psichiatra e paziente, con ruoli che arrivano quasi all’interscambio.
Nel complesso, Jimmy P. si rivela un prodotto senza infamia e senza lode, ben scritto nei dialoghi ma piuttosto piatto nella messa in scena, che fa tuttavia rimpiangere le precedenti opere del regista francese. Infatti l’eleganza formale che Desplechin aveva mostrato in Racconto di Natale (2008) emerge solo in parte, come se, lasciando molto spazio alle parole e poco alle immagini, avesse messo in secondo piano il suo talento visivo.
Un grande punto a favore della pellicola è però sicuramente la grande interpretazione dei due protagonisti: Mathieu Amalric, nei panni dell’antropologo, si conferma uno degli attori più importanti del cinema francese contemporaneo; Benicio Del Toro è pienamente in parte in uno dei ruoli più intensi della sua intera carriera.
Voto: 2.5/4
LA DANZA DE LA REALIDAD di Alejandro Jodorowsk
In chiusura di questa quarta giornata di festival. segnaliamo La danza de la realidad, il ritorno dietro la macchina da presa di Alejandro Jodorowsky a ventitre anni di distanza da Il ladro dell’arcobaleno.
Presentato all’interno della Quinzaine des Réalisateurs, il film è un progetto autobiografico in cui il regista racconta la sua infanzia a Tocopilla in Cile, il rapporto con i genitori e in particolare con l’autoritario padre Jaime.
I caratteri stilistici che contraddistinguono l'autore sono presenti in ogni sequenza, così come le tipiche figure grottesche (personaggi circensi e deformi in primis) che hanno caratterizzato tutta la sua filmografia.
Grazie al suo tocco surreale, Jodorowsky riesce a raggirare il budget limitato e una sceneggiatura piuttosto ridondante e discontinua: non tutte le sequenze sono ben calibrate ma, nel complesso, lo si può definire un ritorno soddisfacente.
Forse per accentuare ancora di più l'aspetto autobiografico, nel cast sono presenti diversi parenti del regista, tra cui il figlio Brontis che veste i panni del nonno Jaime.
Voto: 2/4
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