«Bisogna prestarsi agli altri e darsi a se stessi». Quarto lungometraggio di uno dei più grandi innovatori del mezzo cinematografico, il film, presentato alla 27ª Mostra di Venezia, prende spunto dall’inchiesta giornalistica Où en est avec la prostitution? di Marcel Sacotte.
Affrontato spesso in modo allusivo, il tema della prostituzione diventa qui centrale: abbandonando le regole della narrazione tradizionale e adottando una struttura rapsodica e frammentata, secondo le istanze della Nouvelle Vague, Godard propone un ritratto impressionista della giovane prostituta Nanà, strutturato in dodici capitoli (“tableaux” nel titolo originale) che spaziano tra diversi registri linguistici (sociologico, cinematografico,documentario). I vari “quadri” non sono uniti da una logica narrativa, ma giustapposti liberamente. Straordinario per debordante personalità stilistica, Questa è la mia vita è forse il capolavoro del primo periodo di Godard, un insostituibile tassello che completa quel rinnovamento cinematografico dei primi anni ‘60 di cui l’autore francese è il cantore più nobile. Arte, storia, filosofia, letteratura e cinema si intersecano in un’opera che è un atto d’amore verso la Settima arte. Alla sua terza collaborazione con Godard, la danese Anna Karina, all’epoca moglie del regista, offre un ritratto di donna memorabile, la cui straziante consapevolezza non le impedisce di commuoversi guardando La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer, identificandosi fortemente con la pulzella e piangendo insieme a lei per la sua condanna al rogo. Premio speciale della giuria a Venezia.
Imprescindibile.