Unico e inimitabile. L’aura mitica che avvolge Ultimo tango a Parigi è ancora immutata, a più di quarant’anni dalla sua uscita. E lo sarà ancora per chissà quanti anni.
Marlon Brando (nel ruolo per il quale sarà sempre identificato) e Maria Schneider in stato di grazia; la regia complessa e avvolgente di Bernardo Bertolucci; la fotografia di Vittorio Storaro; la colonna sonora percorsa dal sassofono di Gato Barbieri. La somma di queste componenti ha dato vita a uno dei film più controversi degli anni ’70, costato a Bertolucci una sentenza definitiva per “offesa al comune senso del pudore”, in seguito alla quale fu privato dei diritti politici per cinque anni. Sequestrato e condannato alla distruzione dei negativi, riabilitato solo nel 1986 e proiettato in TV nel 1988, ampiamente censurato, il film è giunto a noi grazie ad alcune copie conservate presso la Cineteca Nazionale. La storia “maledetta” tra un vedovo di mezza età e una giovane francese disinibita, consumata tra le fredde mura di un vuoto appartamento parigino che è cella d’isolamento e caverna primitiva, diventa archetipo dell’amore (im)possibile tra due individui appartenenti a generazioni troppo lontane tra loro, dove il sesso e le sue divagazioni sono l’unico elemento di congiunzione. Lo struggente e malinconico immoralismo, esplicitato dalle scandalose scene di sesso e dalla sceneggiatura “volgare”, porta alle estreme conseguenze la liberazione sessuale della fine degli anni ’60. Film ambiguo, straniante, imperfetto, Ultimo tango rimane una pietra miliare della storia del cinema, capace di sondare con inusitata personalità la solitudine esistenziale dell’uomo, vittima di una società votata all’incomunicabilità. Clamoroso successo di pubblico. Due nomination agli Oscar (regia e Marlon Brando).
Imperdibile.