Lake, ragazzo disadattato in cerca di una motivazione esistenziale, ha una difficile relazione con la ribelle Desireé e un complicato rapporto con la vivace madre Marie. Proprio quando sta ammettendo a se stesso il proprio feticismo verso i corpi maschili in fase di disfacimento, trova lavoro in uno squallido ospizio. All’attrazione erotica per i pazienti si somma la compassione umana verso i degenti, trattati come fastidiosi oggetti e imbottiti di sedativi dall’insensibile personale della struttura.
L’incontro con l’affascinante Mr. Peabody, vecchia checca impertinente, con un passato da artista e la battuta sempre pronta, spingerà Lake a vincere definitivamente le proprie ritrosie e ad abbandonarsi alla passione, romantica più che erotica, con l’anziano ottantunenne.
Un tema così delicato avrebbe richiesto una mano leggera come una piuma, ma purtroppo LaBruce non riesce a rinunciare alle proprie intemperanze e all’urgenza di stupire a tutti i costi. Non trova così un equilibrio, unendo il racconto poetico di amore delicato tra i due universi diametralmente opposti alla sua passione per il kitsch, inserendo anche segmenti volutamente morbosi e sgradevoli.
Tra facile ironia, ammiccamenti allo spettatore e masturbazioni (sia registiche che attoriali) inutili, LaBruce si perde, rinunciando a raccontare una storia d’amore che avrebbe potuto essere delicata e poetica, come la bellezza offuscata che il giovane e confuso Lake riesce a ritrovare nei corpi segnati impietosamente dal tempo degli anziani del ricovero.
Se LaBruce avesse scelto di imboccare una delle strade possibili e di seguirla fino in fondo avrebbe sicuramente ottenuto un prodotto coerente, nel bene e nel male. Così dà un colpo al cerchio e uno alla botte, finendo per scontentare tutti. Ma il coraggio nel trattare la tematica è comunque apprezzabile.
Voto: 2/4