Tutto si può dire di Franco, ma non che gli manchi l'ambizione. Se McCarthy è probabilmente uno dei più grandi romanzieri contemporanei (sfruttatissimo al cinema, da Non è un paese per vecchi a The Road), Child of God è materia ardua e difficile da far digerire al grande pubblico: la storia di Lester Ballard, pazzo solitario che vive nei boschi del Tennessee degli anni 50 e diventa un serial killer necrofilo, è interamente basata sulle azioni folli ed estreme del suo protagonista, interpretato dal semisconosciuto Scott Haze che si cimenta in performance di impressionante potenza (Franco si è ritagliato solo un piccolissimo ruolo).
Brevi stralci del romanzo scorrono a caratteri cubitali sullo schermo, una splendida colonna sonora folk-bluegrass (musiche originali di Aaron Embry) incornicia il racconto, diviso in tre capitoli. Lester (orfano di padre suicida, abbandonato dalla madre) è un reietto che vive in una sorta di stato animalesco, un rifiuto subumano dominato solo dagli istinti primordiali. Prima lo vediamo rappresentato in tutta la sua ferocia primitiva, grondante odio e disprezzo verso la società civile con cui non riesce a rapportarsi; proprio quando sembra inserirsi in un bizzarro percorso verso una sorta di umanizzazione, la follia si impossesserà definitivamente di lui, portandolo alla violenza più estrema.
Quello di Ballard è un personaggio pazzesco, che disgusta e intenerisce allo stesso tempo: almeno prima che la sua furia esploda, è impossibile non empatizzare con lui. E la regia di un particolarmente ispirato Franco riesce a regalare al film, dominato da una carnalità disperata e da una ferocia visiva non comune, efficaci toni di lirismo, persino nelle sequenze più disturbanti.
Voto: 3/4