E' da un po' di tempo che Terry Gilliam va cercando "il senso della vita". Perche' viviamo? Dove andiamo? Qual e' il nostro significato?
Il visionario autore britannico torna a chiederselo con una sfavillante riflessione, che contiene molto della nostra contemporaneità emozionalmente bloccata, ma allo stesso tempo rivolge all'umanità uno sguardo dal respiro universale.
The Zero Theorem racconta, tra sorci e scorci di pura poesia, scintille dal gusto circense tanto caro a Gilliam, angosce esistenziali e sublime ironia, il male di vivere di Qoen Leth, misantropo, terrorizzato dal contatto con l'esterno e intrappolato in un eterno dialogo con se stesso, in un'oscura cattedrale che gli fa da casa.
Un enorme Christoph Waltz, confermatosi (se ce n'era bisogno) uno dei migliori attori in circolazione a oggi, dà corpo e volto allo scienziato pazzo che, tra autismo, stakanovismo, inabilità sociale e paura dell'altro, intenerisce proprio perchè ci assomiglia. Attendendo la chiamata che deve spiegargli il senso unico dell'esistenza, Qoen non si accorge di essere sfuggito alla vita stessa: se anche ci fosse un senso (probabilmente no), il suo vuoto interiore non gli permetterebbe di coglierlo. Senza sentimenti, senza la capacità di provare gioia, Qoen vegeta davanti allo schermo, trincerandosi dietro a un muro di logaritmi, da solo, ma non solo ("always alone, but never lonely").
Pubblicità martellante, pornografia, psicanalisi via webcam, supercontrollo mediatico: tutti i mali del nostro tempo finiscono nel caleidoscopio di Gilliam, opportunamente rivisitati ma non meno inquietanti per questo.
L'eccezionale cameo di Tilda Swinton nei panni della cyber-strizzacervelli e un luciferino quanto inedito Matt Demon-Management, si aggiungono a un cast che oltre a Waltz beneficia del contributo di una bella e brava Mélanie Thierry. Bravi anche Lucas Hedges, quindicenne già annoiato dalla vita, e David Thewlis, il Remus Lupin di Harry Potter, supervisore dal volto umano nell'universo spersonalizzante del demiurgo Management.
Tra Las Vegas, Blade Runner e l'iconoclastia più pazzerella (il Cristo in croce decapitato che al posto della testa mostra una telecamera accesa 24/7), Gilliam si diverte e diverte, in equilibrio tra una realtà irreale, fatta di luci al neon e schermi luminosi, e un'irrealtà reale, l'unico posto dove, paradossalmente, si può ancora ammirare il tramonto del sole.
Un grande ritorno del Gilliam migliore, visionario e profondo, giocherellone ed esistenzialista, che fa domande ma non dà risposte: la giostra della vita continua a girare, ora colorata, ora buia, a vuoto, senza un perchè, e Terry è sempre lì, a catturare e fotografare frammenti di sogno nella realtà. O viceversa.
Voto: 3,5/4