E' giunta mezzanotte, si spengono i rumori, si spegne anche l’insegna di quell’ultimo caffè… con il rito della consegna dei Leoni, delle Coppe, delle Oselle si chiude l’esperienza lidense con tanto di bolla papale. Si spegne anche il tristo sbrilluccichio di un Red Carpet, sempre più simile al Palo dei Supplizianti di Barkeriana memoria. E le feste, i party in terrazza, stretti stretti tra uno spigolo di balaustra ed un tramezzino che offenderebbe qualsiasi chef, strangolato da mani rapaci e adunche. Un po’ modello “Principe Prospero” senza- purtroppo- Morte Rossa annessa.
E' un vero peccato che le cronache, avvezze a parlar di morti, non abbian potuto dir nulla del “Gran Macabre”, la Sontuosa festa dei Morti che si è svolta tra i ruderi abbandonati dell’Hotel Des Baines che, per una notte, a mezzanotte, si è illuminato di una medusea luccicanza, dando l’impressione che quei marmi danzassero tra “Dark Waters” spiritate. Qualche burlone (moltissimi i nobili, e i nobili, si sa…) fa trascinare catene su quei parquet immacolati, ma a vincere sono le risate cristalline, che rendono unica l’atmosfera della Gatta Dalle Mille Soffitte (non si sa bene perché i morti chiamino così il Des Bains, ma forse è meglio così).
Sulle terrazza del Des Bains, tramutata dall’edera e dall’erba matta in una serra di smeraldi, su di un palco un quartetto di scheletri (dono di Ray Harryhausen) esegue compitamente musica da camera: in un polveroso vorticar di stoffe, ecco i primi fantasmi attesi. La Contessa Maria degli Obrapali circondata dall’entusiasmo di Pandeo e Popsio, i suoi due gemellini (“Bonziur, Bonziur” cantilenano: è l’unica parola che conoscono oltre al polacco); la marchesa Spica Tremendosa che nemmeno dopo il trapasso si è separata dai suoi amati guanachi, catturati in un viaggio pregno di misteri nelle foreste del Borneo. Un meditabondo Barone Igor Putrjev-Balla sta intrattenendo un paio di gerarchetti che malamente celano lo stato di decomposizione. Curiosamente non v’è notizia del Duce (anche se poi si racconterà per secoli che lo si è visto ignudo e con una prepotente erezione rincorrere sulle spiagge di Alberoni uno scricciolo col volto di Agostina Belli). Accompagnato dal Conte Giuseppe Volpi di Misurata ecco fare il suo ingresso Luchino Visconti: il Conte di Modrone non ha occhi per nessuno, se non per il tavolo ove siede Tadzio con tutto il suo clan da Gineceo. Luchino accarezza i morbidi capelli del ragazzo, e Tadzio, con incredibile grazia, gli sfiora le labbra col più dolce dei baci. La Mangano e Nora Ricci applaudono scatenando l’ilarità festante del pargolame ai loro piedi.
Due ubriachi pendono dalla terrazza, rischiando di cadere, per lanciare un canto d’amore alla luna: sono Orson Welles ed Ernest Hemingway. Meglio lasciarli fare, e continuare ad osservar l’incanto di questa lugubre, bellissima, giostra. La musica degli scheletri si quieta, per poi tramutarsi in una solenne “Totentanz”: la scalinata di marmo del Des Bains è stata solcata dalla soprano Ildebranda Cuffari, col suo strascico di campanellini. Fra le mani guantate stringe l’urna con le ceneri della divina Edmea Tetua. Tutti, come per una muta intesa, si ricompongono, trovano una postura da grandi occasioni, e, sempre senza proferir parola, seguono l’altera Cuffari che li conduce al gigantesco piroscafo “Gloria N.”, o al suo sembiante ectoplasmatico, che li condurrà in ben altri lidi. Il piroscafo si allontana, su di una laguna nera come la plastica di Fellini.