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Creato il 13 novembre 2013 da Ifilms

locandina-antiviral“From her body to your body. From her cells to your cells.”

 Cronenberg, Brandon. Agli appassionati cinefili (ma anche ai profani) questo cognome risulterà sicuramente familiare. Ad esordire dietro la macchina da presa con Antiviral (in concorso nella sezione Un Certain Regard del 65º Festival di Cannes) è nientemeno che il figlio del geniale David, profeta della nuova carne ossessionato dal corpo e dalle sue (dis)funzioni, che negli ultimi tempi ha virato la sua filmografia verso qualcosa di più complesso e concettuale (Cosmopolis), rimanendo legato a doppio filo ai suoi comunque rintracciabili feticci.

 

Il giovane Brandon raccoglie, attualizzandola, l’eredità paterna e racconta di un ipotetico e non specificato futuro (ma potrebbe essere un presente parallelo) dominato dallo star system, in cui schiere di adoratori paganti arrivano a farsi contaminare con i virus dei loro idoli. Una follia sistematica le cui fila sono rette dalla Lucas Clinic, azienda per cui lavora Syd March (Caleb Landry Jones), trafficante sottobanco di morbi che lui stesso si inietta per aumentare i profitti. Fino al giorno in cui la celebre Hanna Geist (Sarah Gadon) muore, lasciando Syd alle prese con lo stesso germe che l’ha uccisa.

 

Disturbante spaccato di un mondo votato all’autodistruzione: Cronenberg Jr. ha imparato la lezione, eccome. I corpi plasmati da infezioni (che arrivano ad avere un vero e proprio volto) sono inseriti in un contesto totalmente asettico, dove il biancore accecante accresce per contrasto le zone d’ombra di un’umanità sempre più degradata, totalmente e irrimediabilmente sprovvista di dignità, immolata al Dio denaro.

 

Il messaggio, socialmente importante e pericolosamente attuale, si unisce ad immagini dalla notevole potenza visiva: la macchina da presa si sofferma quasi entomologicamente sulla carne martoriata dalla malattia, sui lividi, sulle lacerazioni, su bocche rigurgitanti sangue. Il corpo diventa un tempio volontariamente profanato e il contagio (che per David Cronenberg era improvviso e incontrollabile, scheggia impazzita che nulla poteva fermare) è ormai programmatico, in un totale ribaltamento che lascia turbati.

 

Le potenzialità di Antiviral sono in parte minate da una sceneggiatura complessa ai limiti dell’incomprensione e da una svolta narrativa che guarda al complottismo e che risulta inutile quando non irritante. Ma alcune sequenze, tra cui quella del debilitato e inerme March che, sullo sfondo di una inquietante gigantografia di Hanna Geist, ne deturpa il volto con il suo sangue marcio, non si dimenticano.

Da recuperare.

Voto: 2,5/4


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