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Creato il 16 novembre 2013 da Ifilms

The Green InfernoThe Green Inferno è una gigantesca sorpresa. Non perché dal sadismo cruento di Eli Roth, alias l'Orso ebreo, non siamo abituati ad aspettarci un'efferatezza altrove difficilmente rintracciabile, ma perché col suo nuovo film il regista di Hostel ha realizzato un omaggio al cannibal movie all'italiana (quello dei Lenzi, dei Margheriti, soprattutto dei Deodato) capace di andare oltre la retorica ombelicale del fanboy arrapato di interiora ed estetica da mondo movie. Il suo è un vero e proprio aggiornamento in piena regola, che di quei film si porta appresso non solo l'apparenza disfatta, dozzinale e anarchica ma anche i detriti ideologici controversi e non meglio chiariti e l'audacia teorica.

 

La premessa è analoga alla saga sopracitata che ha reso celebre l'Eli Roth regista al di là della conventicola tarantiniana. Dei giovani americani, guidati da un leader trafficone e un po' spaccone, si recano in Perù spinti dalla voglia di portare a termine un'azione di denuncia umanitaria contro i crimini perpetrati in Amazzonia dai signori della guerra finanziati dalle multinazionali: ancora una volta degli statunitensi in un paese piuttosto lontano da loro (anche più della Slovacchia) che credono di poter padroneggiare le avversità con cieca sicurezza, a prescindere dall'ambiente in cui si trovano e dai rischi cui potranno andare incontro.

La situazione però degenera ben presto e dopo un apparente successo della missione i malcapitati finiranno ostaggio di una tribù indigena di mangiatori di carne umana, in un incubo a cielo aperto di proporzioni inimmaginabili. La protagonista Lorenza Izzo, nonostante rifiuti tale definizione, ha gli occhi spalancati e fobici da screem queen in piena regola ed è fulcro di un'odissea di terrore che come i film del filone cui Roth si ispira non relega fuori campo le sporcizie, gli umori, gli odori, le secrezioni di ogni tipo. Ed è così che la masturbazione o la defecazione nella gabbia non diventano inutili scenette di contorno ma coerenti incursioni nel viscidume del bassoventre e dell'istinto, simboli di una cattiveria strumentale che nel suo tritacarne non risparmia neanche l'impudicizia, fermamente convinta di sé e dei suoi mezzi nel fotografare da una prospettiva ravvicinatissima un'umanità condotta a un passo dalla più cruenta delle morti.

Roth si prende gioco degli attivisti evidenziando l'ottusità generale del loro agire e l'immoralità del loro leader tra ipocrisie, menzogne reciproche e la disponibilità a idolatrare qualsiasi totem, come dimostra l'emblematico finale. I riferimenti politici senza peli sulla lunga (''Credi davvero che esista la lotta alla droga?'', ''Ma secondo te come può il governo americano non essere responsabile dell'11/9'') sembrano invece un filo più strutturati rispetto a un Machete qualsiasi, in cui l'altro grande compagno di merende tarantiniano, Robert Rodriguez, lo prende davvero solo a pretesto per far caciara, come si è scritto. Roth è invece animato da un sincero antiamericanismo di fondo che è rozzo ma ideologicamente uniforme dall'inizio alla fine, in cui le frattaglie mostrate rispondono del letame che alberga nei piani alti e gli istinti basici sono l'unica chiave possibile per raccontare lo squallore e lo sbando. The Green Inferno riesce insomma a maneggiare con perizia anche temi scottanti: su tutti, la potenza politica delle immagini e del filmare, esercizio di potere condizionante come pochi altri che in un paio di sequenze viene esaltato come meglio non si potrebbe.

 

Voto: 3/4


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