Tra i primi titoli presentati in concorso al 31 Torino Film festival, Blue Ruin, già a Cannes 2013 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs dopo vari passaggi ai festival internazionali (Toronto, Locarno), è il secondo lungometraggio del direttore della fotografia Jeremy Saulnier, statunitense che ha esordito alla regia nel 2007 con Murder Party, commedia horror già cult nel circuito indipendente americano.
I fasti non si sono ripetuti.
La vicenda ruota intorno a Dwight (Macon Blair), disadattato che vive per strada dormendo in una vecchia Pontiac e raccattando viveri dai rifiuti. Fino al giorno in cui Dave Clealand, assassino dei suoi genitori, esce di galera, scatenando in Dwight il desiderio di vendetta.
“Sono stato molto chiaro con me stesso nel volermi concentrare sulla narrazione. Questo film non è una forma di terapia personale, tanto meno una dichiarazione d’intenti: a muovermi è il desiderio di intrattenere il pubblico”. Queste le dichiarazioni del regista: peccato che la volontà non coincida con la modalità di rappresentazione. Il risultato, un pastiche senza capo né coda, è sorretto (si fa per dire) da una sceneggiatura sfilacciata e imprecisa.
Gli eventi si succedono senza reale motivazione, se non quella dell’ossessione del personaggio: la spirale di violenza e il continuo riferimento visivo alle armi suggeriscono la più scontata morale di fondo (all’odio segue l’odio) ma ciò non basta a giustificare l’incoerenza, coronata da inserti (volontariamente? Impossibile saperlo con certezza) pseudo-comici totalmente fuori luogo, da un protagonista spaesato e catatonico (il pur volenteroso Blair sembra perennemente sotto l’effetto di psicofarmaci) e da sequenze insensate e gratuite.
L’interessante tema di base poteva essere sviscerato in maniera assai più convincente.
Voto: 2/4