Siamo nel Greenwich Village all’inizio degli anni sessanta, periodo di straordinario fervore artistico e creativo. Llewyn Davis (Oscar Isaac) si arrabatta come meglio può, suonando la chitarra davanti a pochi spettatori paganti, sostituendo musicisti per squallidi jingle pubblicitari e passando le notti sui divani di amici occasionali o di lunga data.
Llewyn ha avuto un periodo di successo breve ed effimero al fianco dell’amico fraterno Mike con cui formava un duo apprezzato dal pubblico e dai discografici. Il sodalizio con Mike termina in maniera drammatica e Llewyn si ritrova a dover combattere per imporsi come artista solista e diventare l’apprezzato interprete che ha sempre sognato di essere.
Ispirato alla vita del musicista e cantautore Dave van Ronk (chitarrista, arrangiatore e amico intimo, nonché talent scout di Bob Dylan), Inside Llewyn Davis è il ritratto malinconico e agrodolce di un perdente di talento, ostinato nel voler vivere della propria arte, refrattario ai compromessi al ribasso che gli vengono offerti eppure costretto, più o meno consapevolmente, a subirli.
L’ennesimo personaggio coeniano che si muove all’interno di una realtà grottesca e grossolana, proseguendo a tentoni, incapace di comprendere appieno tutte le sfaccettature di un mondo dominato dal caso e dal caos: una sorta di Ulisse contemporaneo privato di qualsiasi epos, spaesato, ciondolante e infreddolito eppure straordinariamente determinato, armato esclusivamente delle proprie capacità artistiche e di un disincanto che lo aiuta a sopravvivere, a campare giorno per giorno, in attesa della tanto agognata svolta, nonostante il fardello di errori e scelte sbagliate che sembra non riuscire a non compiere.
Llewyn Davis è, per certi versi, speculare alla Marge Gunderson di Fargo, personaggio che cerca di elevarsi dalla propria mediocrità, ingenuo, goffo ma di buon cuore, destinato ad essere inevitabilmente sconfitto sempre e comunque, ma non per questo arrendevole o auto commiserevole. Un artista dotato, squattrinato e scarsamente fortunato, destinato probabilmente per tutta la vita a esibirsi in locali infimi e ad essere un eterno numero due, ma mosso da un sogno di successo e da un desiderio di rivalsa più forti di qualsiasi ostacolo e delusione. Llewyn tenta e sbaglia, ma non si abbatte e continua a provare anche se il fallimento sembra perseguitarlo: un perdente che resta perdente ma incapace di rassegnarsi.
Tra i molti pregi di Inside Llewyn Davis il maggiore probabilmente risiede in una scrittura che adotta una struttura circolare adornata di una freschezza, ricchezza e originalità inventiva sempre sorprendente tra trovate brillanti, piccoli in-jokes cinefili (con tanto di insospettabile omaggio a Pappi Corsicato!) e musicali (la sagoma dylaniana che segue un’esibizione di Llweyn) e un’atmosfera sospesa tra l’onirismo di un incubo ad occhi aperti e un realismo straniante. Funzionali in tal senso le lunghe distese innevate e deserte, attraversate da un vento gelido e tagliente e evidenziate sapientemente dalla fredda fotografia iperrealista di Bruno Delbonnel che ha sostituito (più che egregiamente) in questa circostanza Roger Deakins, fedelissimo direttore della fotografia delle precedenti pellicole dei fratelli Coen.
Interpretato da un ottimo Oscar Isaac, personaggio dallo sguardo costantemente triste e stanco ma ugualmente risoluto, supportato da un degnissimo cast di supporto (Carey Mulligan, Justin Timberlake, John Goodman, Garrett Hedlund e F. Murray Abraham), Inside Llewyn è una dolceamara avventura, toccante e divertentissima, capace di far ridere e commuovere, di ammaliare e soddisfare gli occhi, la mente, il cuore e le orecchie.
Voto: 4/4