Una rara filosofa sarda accanto ad un lavoro di Nivola, Nuoro, pochi giorni fa. Sic.
di Ivana Vaccaroni. Poche sono le donne-filosofe ma parecchi gli studiosi che hanno affrontato l’universo femminile cercando di esplorarlo e comprenderlo.
Fin dall’antichità le donne sono state ritenute deboli e inferiori nel fisico ma anche nella mente, essendo umorali ed emotive, meno razionali e di conseguenza scarsamente propense a formarsi una cultura.
Da ciò ne è derivata la loro differente posizione sociale e la loro subordinazione agli uomini; il maschile è considerato la regola, una norma, mentre le donne sono state ritenute esseri umani mancanti, asimmetrici rispetto all’universo maschile.
Il maschio è l’umanità, la donna è “l’altra metà del cielo”, mai “l’una”. Nei filosofi non c’è sempre misoginia ma androcentrismo si.
Tale idea oggi non è più condivisa e generalmente contestata. Dal Settecento in poi è iniziato un movimento pubblico che ha contestato questo stato di cose, formando la base del movimento femminista dei secoli successivi.
Ciò ha comportato mutamenti di ordine diverso in ambito sociale ed economico che avevano lo scopo di restituire dignità alle donne, affrancandole dalla sottomissione al maschio e collocandole in una posizione migliore con la possibilità di avvicinarsi allo studio, alle professioni, ai diritti di cittadinanza…
I pensatori hanno poi compreso che per equiparare i ruoli fosse necessario discutere le origini del pensiero stesso, compreso quello filosofico.
Bisognava partire dalla indifferenza dell’essere nati uomini o donne, affermando la necessità di pari libertà di espressione e negando discriminazioni.
Due sono state le forme di femminismo che sono maturate: quello liberale e quello radicale. La prima tende a far uscire la donna da una condizione di oppressione e discriminazione; la seconda vuole il raggiungimento della libertà, quella di rappresentare se stesse a partire proprio da se stesse, evitando l’odiosa ed errata definizione che propone la donna come “il femminile dell’uomo”.
Il femminismo liberale non si prefiggeva la distinzione dei sessi ma il raggiungimento di una società quasi indistinta a livello di genere, dove tutti potessero godere di pari diritti e doveri, mentre il femminismo radicale aveva come scopo l’ottenimento di regole sia pratiche che teoriche volte a dare alla donne gli spazi utili per fornire il giusto apporto al miglioramento della società. E’ questo l’«ordine simbolico» di Luce Irigaray, e cioè il livello della produzione del pensiero, dei significati delle immagini e della loro gerarchia.
Lo sviluppo recente del femminismo ha portato a conclusioni differenti: c’è chi insiste sulla necessità di agire quasi esclusivamente a livello sociale ed economico per far cessare il predominio maschile e chi sostiene invece che tali successi siano momentanei e illusori, non portando a una vera condizione di libertà per le donne se non si interverrà direttamente sul piano del pensiero.

