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Tento di cambiare dei reais per dei bolivianos. Chiedo a delle persone, ognua delle quali ha una soluzione: la posta, la banca, la signora che ha un negozio d'abbigliamento, la casa di cambio inesistente. Finisco per cambiare i reais in dollari nella speranza che servano dall'altro lato della frontiera. Tornando alla stazione dei bus mi imbatto in una sfilata in cui vari gruppi latinoamericani si esibiscono in balli popolari. Ci sono anche i boliviani che ho incontrato alla stazione di polizia, seguiti da un gruppo di slovacchi (gli unici europei) vestiti con cuffiette e giacche di lana che ballano una danza centroeuropea sotto il sole tropicale.
Il bus per la frontiera è un cassone dell'immondizia con quattro ruote. In compenso la strada è vuota e il paesaggio scorre fuori dal finestrino come se si fosse su un treno: alberi, alberi, alberi, mucche, mucche, alberi, una casa, mucche di nuovo, alberi, un pilone della luce, alberi, mucche, mucche. Il sole inizia a scomparire tra le nuvole, l'aria si fa ocra, poi la notte cala, illuminata solo dai fari del bus che viaggia a tutta velocità.
Quando si ferma salgono a bordo due militari brasiliani dall'aria molto marziale, con tanto di giubbotto anti-proiettile (tanto per sudare un po' di più). Fanno scendere tre ragazzi boliviani e si soffermano - come prevedibile - sul mio passaporto che ha visti di mezza America Latina e mezzo mondo arabo. Mi fanno un paio di domande più per curiosità personale che per sospetto e passano oltre. Il bus riparte per fermarsi poco più avanti. Tutti scendono per salire su un taxi che copre gli ultimi chilometri guidando come un pazzo per una strada sterrata completamente buia.
Arrivo a San Mattias, Bolivia, in uno stato quasi onirico. Vengo sbarcato davanti al Las Vegas Hotel che deve essere l'unico in città, ha un'insegna con un uomo vestito da Cow Boy e sembra in tutto e per tutto un albergo a ore. L'uomo alla reception è semi-analfabeta e va in panico quando deve scrivere la nazionalità italiana invece che brasiliana. Il tempo di farmi una doccia e via a cercare di mangiare qualcosa per le strade semibuie del paese (a San Mattias non si investe molto in illuminazione pubblica e assolutamente nulla in asfalto).
Il viaggio da San Mattias a Santa Cruz, il giorno dopo, dura quattordici ore, di cui più della metà su strada sterrata. Entrando in uno stato di oblio totale, interrotto solo dalle tre fermate per mangiare ed andare in bagno, sopravvivo la prova senza troppo dolore. L'aria che entra dal finestrino dà un po' di refrigerio, la felpa dietro al collo aiuta a dormire un po'. Sono le undici di sera quando arrivo a Santa Cruz, stravolto da tre giorni ininterrotti di viaggio.
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