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I flashback annoiano?

Da Anima Di Carta
I flashback annoiano? Qualche giorno fa Helgaldo (autore del blog Da dove sto scrivendo) affermava in un suo post che i flashback annoiano. In realtà, non ha usato proprio queste parole, ma questo era il succo.
Nella mia immaginazione (probabilmente malata) Helgaldo è una sorta di anziano saggio della montagna che ti bastona sulla testa se fai cavolate, e quindi ho cominciato a pormi il problema dei flashback, visto che il romanzo che sto scrivendo abbonda di salti nel passato. “Non è che sto sbagliando tutto?”, mi sono detta.
Da un piccolo confronto con l'autore del post poi è venuto fuori che (forse) non tutti i salti all’indietro scatenano sbadigli e che (forse) i miei si salvano perché costituiscono parte integrante della trama. Come stanno quindi le cose? Vorrei provare a rifletterci insieme a voi.

Il flashback come digressione


Partiamo dal presupposto che una storia racconta qualcosa di accaduto in un certo tempo, infatti di solito viene usato il verbo al passato. C’è quindi una linea temporale in cui si svolgono i fatti, ma qualche volta l'autore interrompe la narrazione e dedica un certo spazio (una scena, un capitolo o anche poche righe) a qualcosa di antecedente al tempo della narrazione. Ciò fa sì che noi lettori veniamo allontanati per un momento più o meno lungo dalla vicenda che stiamo seguendo. Questo potrebbe infastidirci? Sì, è possibile, soprattutto se eravamo incollati alle pagine in trepidante attesa di conoscere il proseguo. Infatti, come lettori o spettatori siamo più interessati al presente e al futuro che non al passato, e nel seguire quanto è “già successo” manca quella curiosità che si riserva agli eventi che devono ancora accadere.
Ma non sarà che questo interesse dipende anche dal contenuto del salto temporale e dalla sua funzione? In pratica, l'autore ha una buona ragione per fermare il tempo e catapultare il lettore da qualche altra parte?
La mia personale opinione – ma vorrei sentire anche la vostra a questo proposito – è che rischiano di annoiare quei salti nel passato che si limitano a mostrare qualcosa di inerente ai personaggi ma non connesso strettamente con la trama. Questo non significa che non vanno mai usati ma che forse dovrebbero essere brevissimi, laddove si ritengono necessari, altrimenti si trasformano in infodump. Dopotutto un personaggio viene definito anche dalla sua storia personale e il lettore potrebbe volerla conoscerla per farsi un’idea più completa.
Invece, un salto che potrebbe meritare più spazio, per esempio intere scene, secondo me è quello che mostra eventi connessi con la narrazione principale e che ha quindi la funzione di completare il quadro. Forse questo tipo di flashback si potrebbe paragonare a un subplot. In questo caso, non c’è la sensazione di digressione dalla narrazione e si evita l’effetto noia.

Il flashback come tassello di un puzzle


Un caso di flashback che quasi sempre affascina piuttosto che annoiare è quello dove la linearità narrativa viene infranta da una mescolanza di passato e presente, ovvero gli eventi vengono presentati al lettore in una sequenza diversa da quella cronologica. Spesso in questi casi si hanno linee temporali distinte e il lettore-spettatore segue con interesse sia una che l’altra.
Per questi casi ho pensato di fare tre esempi tratti da serie tv.
True detective
Serie geniale sotto molti punti di vista, segue le indagini e la vita personale di due investigatori su due piani temporali, uno relativo al 2012 e l’altro al 1995. All’inizio sembra quasi una storia in cornice, con scene che mostrano i protagonisti che raccontano il passato durante un interrogatorio, ma poi il passato avanza fino a ricongiungersi nel presente e le due linee diventano una sola. L’alternanza delle scene è così ben costruita che nessuna delle due annoia, anzi. E un effetto particolarmente accattivante è quello dell’incongruenza (ovviamente possibile sono in tv) tra le parole dei protagonisti che raccontano e le scene che si vedono, così come interessante è il contrasto tra i due punti di vista e i loro ricordi.
Le regole del delitto perfetto (How to Get Away with Murder)
A parte la brutta traduzione del titolo italiano, questa serie legal-thriller merita di essere vista quanto meno per la gestione vivacissima dei flashback. La storia segue le vicende di un avvocato donna docente di diritto penale, intorno alla quale ruotano i cinque studenti più dotati del suo corso. Qui più di flashback si tratta di flashfoward, nel senso che per come vengono presentate le scene lo spettatore segue fin dall’inizio la linea temporale del passato, con salti in avanti che anticipano il futuro. Attraverso queste scene si viene a sapere di un delitto e vengono scatenate tutta una serie di domande.
Arrow
La storia si basa sul personaggio dei fumetti Freccia Verde e nelle prime stagioni c’è una continua alternanza tra il presente – in cui il protagonista è impegnato a combattere il crimine con un’identità segreta – e il passato in cui lo stesso personaggio è naufragato su un’isola infernale. I flashback quindi sono destinati a far conoscere allo spettatore cosa è accaduto nei cinque anni della sua scomparsa. Personalmente ho trovato di una noia mortale questi salti all’indietro, sia nella prima che nella seconda stagione. Forse uno dei motivi è che si percepisce come concluso il tempo relativo al passato, che infatti non si intreccia mai con il presente. Le due linee temporali si percepiscono in modo distante con la conseguenza che ogni flashback è davvero ammorbante (a mio giudizio).
Nelle prime due serie tv, invece, passato e presente sono realmente connessi e le linee finiscono per intersecarsi trasmettendo un senso di armonia. Se tutto questo sia possibile anche sulla carta non lo so, ma una cosa è certa: c’è molto da imparare in questi casi!
Voi cosa ne pensate, è possibile introdurre salti nel passato senza annoiare il lettore? In quali tipi di flashback vi annoiate?

I flashback sono stati il tema di un mio quest post sul blog di Grazia Gironella Scrivere è vivere qualche tempo fa:
Raccontare il passato: i flashback




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