“Quanto cazzo è vero che ogni uomo ha il suo dolore. Tutti anche l’ultimo merdoso foruncolo al crepuscolo di uomo ha il suo dolore e ci sarebbe materiale sufficiente per rispettarlo. Ti viene voglia di rispettarli tutti quanti gli uomini quando ti raccontano cose così. Ma poi non ci riesci, perché perlopiù, la cattiveria ti assale negli angoli sempre liberi, come l’aspirapolvere, come un tartaro strafatto di cocaina, la cattiveria ti rende agguati notturni al cuore, fa razzia di te, ti stupra e ti violenta e si porta via i soprammobili del tuo corpo lasciandoti con un altro po’ di vuoto, un po’ più in là il vuoto, questa volta, contaminato con i sensi di colpa”
Vive solo di musica, Tony. Di donne, di sesso, di cocaina. Non riesce a vivere senza, eppure sa gestirla benissimo. Non sopporta nulla e nessuno. Detesta le persone che girano in tuta da ginnastica o piuttosto le cittadine del centro Italia, che si trova a conoscere così bene per via delle tournee che fanno parte del suo lavoro. Cittadine che hanno apparentemente una vita linda che lo infastidisce e si ritrova a riflettere su Napoli, regalando alla città parole bellissime.
“Solo la mia città ha ancora un minimo senso con quell’apertura alata a mare, sterminata. Ti dà la sensazione che se vuoi puoi fuggire. Poi non fuggi mai“
Credo che siano parole che solo chi è nato a Napoli può comprendere sul serio. Quel senso di soffocamento e libertà che la mia città, da sempre, ti fa sentire. Una volta tornato in Italia, Tony si ritrova a gestire il rapporto con la moglie che chiederà il divorzio, spiazzandolo completamente. Decide di lasciare di nuovo l’Italia e parte per il Brasile. Lascia la musica per circa venti anni e si trasferisce a Manaus, dove coltiverà l’ossessione per gli scarafaggi e per l’umidità. Arriva il 1999 e un onorevole italiano lo raggiunge e lo invita a ritornare in Italia e alla musica, chiedendogli di cantare a casa sua, per la notte di capodanno che vedrà l’avvento del nuovo millennio. Tony accetta. Si trasferisce a Roma e lavorerà con Fabio. Lì passerà gli ultimi anni della sua vita e gli ultimi pensieri sono affidati a un Tony settantaseienne che si ritrova in un lungo tramonto romano a sognare i suoi genitori e a pensare all’unica donna amata, Beatrice.
Il libro è tutto raccontato in prima persona e Tony mostra, continuamente, una serie di verità. Come quando dà, ad esempio, una definizione stupenda e cinica della vita.
“Chi l’ha inventata la vita? Un sadico. Fatto di coca tagliata malissimo“.
Andrebbe letto con accanto un taccuino dove segnare pagine, parole, intere frasi. Troppe verità amare, ci racconta Sorrentino. Troppi sorrisi disillusi riesce a strappare. Sorrisi che diventano ghigni e poi attenzione totale e poi pensieri che diventano corpo, dopo aver letto le idee e la schiettezza del protagonista. E’ il suo primo romanzo. E gli è riuscito da Dio.
La distrazione. La massima invenzione dell’essere umano per continuare a tirare avanti. Per fingere di essere quello che non siamo.
Adatti al mondo.
P. Sorrentino