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Come logico, il romanzo inizia dall'introduzione, ot avtora, da parte dell'autore. Uno dei soliti avis au lecteur dostoevskijani in cui a prendere la parola è uno dei soliti travestimenti dello scrittore. Questa volta il nostro autore esordisce dichiarando che le introduzioni non servono a niente e, peggio ancora, forse lo stesso romanzo che si aggiunge a scrivere non vale la pena di essere letto. Perché in realtà non è neanche un vero romanzo, ma solo l'antefatto del vero romanzo che narrerà la storia di Aleša adulto. I Fratelli Karamazov, dunque, sono la preistoria (13 anni prima della storia) di una storia che non c'è. Ma la cosa che rende più che mai perplesso il nostro fantomatico autore è che Aleša non ha niente che lo renda particolarmente interessante, niente che lo renda degno di essere scelto come eroe. O, meglio, l'autore dentro di sé sa benissimo perché proprio Aleša deve essere il suo eroe, perché vale la pena notarlo, ma non è in grado di dimostrarlo. E così, in modo un po' sciatto e dimesso, Dostoevskij pone la questione dell'eroe buono e del suo modo di agire. La questione dell'azione e del Bene. Della possibilità che il Bene agisca effettivamente sulla realtà. Che sia produttivo. Questa domanda era già stata al centro dell'Idiota con il principe Myškin, nei Fratelli Karamazov ritornerà variata in diversi momenti, primo tra tutti il famoso silenzio di Gesù di fronte al Grande Inquisitore.
Qui Dostoevskij mette subito le mani avanti e si affretta ad assicurarci che il suo eroe non è un perdigiorno o un inetto, ma è un uomo di azione (dejatel'). Interessante, perché nell’Idiotagli uomini dejatel’nye, perfino nella loro accezione più positiv,a erano tipi come il principe Šč., personaggi intraprendenti che sapevano piegare la realtà alle proprie esigenze, un po' limitati nonostante una certa brillante intelligenza. Dostoevskij li sferza a dovere e non mi pare che l'attributo "dejatel'nyj" venga mai attribuito a Myškin.Certo, Aleša è un uomo di azione particolare, si schermisce Dostoevskij: un po' "indeterminato" e ancora non manifesto. Chiedendersi perché il più giovane dei Karamazov sia interessante (primečatelen) significa anche porre la questione dell’universalità della sua immagine. Aleša è un tipo stravagante (strannyj e čudak): saremmo, cioè, di fronte a un caso particolare, un episodio. E invece a questo punto Dostoevskij vira con forza la sua argomentazione e apoditticamente sostiene che proprio il čudakha qualcosa di generale, si eleva al generale (“porta in sé qualche volta il cuore della totalità", il midollo dell'intero). Cioè il massimo del particolare è interessante per la generalità delle persone. Dostoevskij si propone qui di raggiungere l'’universalità attraverso l’individualità più estrema. Il succo del tempo e dell’animo umano sembra stare nel mantenere la propria particolarità. Era una riflessione che Dostoevskij aveva iniziato da tempo, fin dalle Memorie del sottosuolo, quando diceva che nell’eroe del sottosuolo non raffigura chissà che caso particolare, ma un “rappresentante della generazione attuale”.