©guardian.com © Dave Eggers, 2014
Dave Eggers da giovane ha frequentato una scuola d'arte, e come si legge anche ne L'opera struggente di un formidabile genio -libro in cui narra della sua vita durante e dopo la morte dei genitori per cancro e di come si sia preso cura di se stesso e del fratellino di otto anni- ha sempre avuto interesse per la pittura e per i fumetti, generi in cui si era cimentato, però, con scarso successo. A distanza di vent'anni a richiesta del Guardian, ci riprova con una breve striscia dal titolo: "Having Renewed my Fire". (Puoi leggerla per intero qui).
Qui riproponiamo una breve intervista, a cura sempre del Guardian, in cui spiega come ha deciso di ritentare con i fumetti e cosa invece era andato storto anni prima: (qui il testo in inglese).
"Qui e lì durante i miei ribelli vent'anni, provai a scrivere fumetti, e almeno tre o quattro di questi tentativi si rivelarono dei pietosi fallimenti. Avevo frequentato una scuola d'arte, per un certo periodo, e avevo studiato disegno e pittura da quando ero molto piccolo, ma qualcosa mi sfuggiva se si parlava di pianificazione e disegno di un fumetto. Perchè? Principalmente perché ero pigro e disorganizzato, uno sciattone. Ero stato un pittore, principalmente, e lavorando su grandi tele, non ero in grado di disegnare in piccolo e in maniera ordinata, chiara; così finivo per frustrarmi cercando di programmare tutti quei box e di disegnare la stessa cosa molte volte in maniere differenti. Non ero spazialmente adatto alla vita come disegnatore di fumetti.
Così dal momento che avevo sperimentato in prima persona quanto fosse difficile scrivere e disegnare bene allo stesso tempo, avere uno svolgimento narrativo comprensibile e quanto eccessivamente arduo fosse creare qualcosa di realmente bello e potente, divenni un avvocato della forma. Quando lessi i lavori di Art Spiegelman, Lynda Barry, Dan Clowes, Julie Doucet, Chris Ware, Tom Tomorrow, Adrian Tomine – tra gli altri – mi resi conto di come fosse indescrivibilmente difficile operare ad un tale livello in così tante aree differenti: scrittura, disegno, design della pagina, tipografia - per non menzionare il fatto che i fumetti sono essenzialmente sceneggiature, dove il dialogo è il responsabile principale dell'avanzamento della storia.
©guardian.com © Dave Eggers, 2014
Quando mi è stato chiesto di far parte di questa pubblicazione, il fumettista fallito che c'era in me si è risvegliato chiedendo un'altra opportunità. Anziché collaborare con un'artista professionista- la via ragionevole- ho scelto l'altra strada, sfidando me stesso a concludere qualcosa di coerente e ragionevolmente ordinato. Quasi vent'anni dopo aver creato il mio ultimo fumetto, ci ho provato di nuovo, e anche questa volta non è stato granché diverso. Ero disorganizzato, e mi ci è voluto molto più tempo di quanto ne avessi preventivato. Ma, credo, alla fine, di aver realizzato qualcosa di più o meno intellegibile, e un po' meno imbarazzante di quanto paventassi.
Ho anche disegnato la copertina, e per questo devo citare un vecchio libro che possiedo, chiamato Boys Of Our Empire, basato sull'omonimo magazine. Possiedo l'edizione del 1902, piena di storie per giovani lettori sui vari exploit di soldati e avventurieri britannici. E' bellissimo e divertente e non di rado spaventoso, con la costante presenza imperialista del titolo. Ma in ogni caso, in esso sono presenti varie storie che hanno luogo nel Far West Americano, e la copertina che ho disegnato è un adattamento di una di quelle illustrazioni. (Darei anche il nome dell'artista, ma stranamente non sono nominati).
A proposito della storia specifica del mio fumetto, posso dire che è stata per lungo tempo dentro la mia testa, crescendo. Nel centro di San Francisco, abbiamo il Golden Gate Park, che è enorme ed un po' selvaggio, che possiede molte dozzine di parchi più piccoli al suo interno e strane caratteristiche - incluso un piccolo campo dove pascola una mandria di bisonti. I bisonti sono lì dal 1890, in vario numero, ma sempre con la medesima assenza di entusiasmo per il proprio destino.
Sono stato a vedere questi bisonti circa 50 volte negli anni e non sono sicuro di averli mai visti muoversi. Si siedono, il più lontano possibile dal punto di osservazione - come se sapessero che vorremmo vederli correre e folleggiare, e volessero darci l'esatto contrario. Anche i responsabili del parco riconoscono quest'aspetto nella letteratura ufficiale: "Non aspettatevi un grande sfoggio di movimenti e prodezze, durante la visita. Essi tendono a risparmiarsi e non si cimentano in nessuna attività eccitante. Se siete fortunati, uno dei bisonti si sposterà lentamente dal campo fino al recinto".
Per così a lungo mi sono chiesto se questo non fosse un piano dei bisonti per trarre i propri guardiani in un falso senso di sicurezza, per poi un giorno liberarsi e scappare. Detto questo, non so se la storia abbia luogo nel Golden Gate Park o da qualche altra parte. Qualche anno fa visitai un altro parco di bisonti in Alaska, e feci delle foto, che ho usato come riferimenti qui. E ci sono dei parchi in tutto l'Ovest degli Stati Uniti, dove dei ben-intenzionati guardiani custodiscono qualche dozzina di bisonti, come tributo a questo magnifico, presumibilmente stupido animale, che cacciatori Americani ed Europei hanno quasi portato all'estinzione. In ognuno di questi parchi, i bisonti- che potrebbero essere dei geni in attesa del proprio momento- magari stanno progettando la propria fuga ed il dominio del mondo. Non c'è il modo di negarlo.
[Di lui hanno detto: "Grande, grande scrittura. Un libro che non lascia scampo."- David Foster Wallace]
via Guardian.com