Romanzi costruiti con particolari agghiaccianti, così verosimili che noi ce li beviamo per veri: vermi solitari e in comitiva che scorrazzano nel corpo inconsapevole, batteri killer che coprono la pelle di pustole maleodoranti, orrende descrizioni di corpi mutilati, sezionati, esaminati oltre ogni liceità, insufficienze di tutti gli organi e asfissia, dolore, febbre, minzioni dolorosissime (per non parlare delle tracce di sangue nelle feci).Il protagonista, in questo genere letterario, è sempre un mediconzolo: uno che a vederlo pare un due di mazze quando la briscola è a denari. E infermiere bonazze e disponibili, e specializzandi focosi muscolosi e timorosi del primario. Dopo una infinità di pagine di liquidi organici putrescenti, il mediconzolo di turno, cretinetto fino alla pagina prcedente, improvvisamente rimane folgorato da un particolare: tutti i pazienti affetti da quella strana e mortale patologia tornano da un viaggio in una località esotica, dove sono stati per motivi di lavoro. E qui si sviluppano i racconti delle vicende dei poverini durante il viaggio. Infiniti particolari che somigliano a pagliuzze dorate sputate da una cerbottana si illuminano ed attirano l'attenzione al nostro sguardo, a seconda di come la luce li colpisce. E i fasci di luce, che danno bagliori di attenzione, li gestisce l'autore. Non c'è modo di capirci qualcosa: pare un caleidoscopio impazzito. Il lettore, che non ha elementi per discernere in mezzo a questa miriade di piccoli abbagliamenti, evita ogni elucubrazione o tentativo di capirci qualcosa e legge difilato almeno 120 pagine, piene di cose banalissime come uno che si prende un caffè a Buenos Aires, una che si mangia un piatto di spaghetti di soia alle verdure in Cina, un altro che sale su un taxi in Mongolia mentre addenta un panino con carne di jak. Finalmente tutti i quindici malati, nelle ore precedenti alla comparsa dei sintomi, salgono su un aereo, all'aeroporto di Budapest. E qui il lettore tira un respiro di sollievo: sono tutti sullo stesso aereo, quindi la modalitá di contagio è attraverso la via respiratoria. Si sente un genio, ma proprio quando si rilassa credendo di godersi la fine del mistero, ecco che l'autore comincia con intrecci di contiguità (si sa che il contagio necessita di un contatto, di qualsivoglia natura): allo scalo di Budapest, la vittima 9 incontra la vittima 6 sulla scala mobile, proprio uno davanti all'altra, e uno dei due, tutto sudato e palesemente febbricitante, sta per cadere e tocca l'altra (scusandosi infinitamente). Sull'aereo, la vittima 1 siede accanto alla vittima 12 e subito davanti alla vittima 8, e tossisce. Qui si legge una dettagliatissima descrizione del muco verde striato di rosso e marrone, appena sputato in un fazzoletto di carta, che finisce per terra, e la hostess passa e lo raccoglie, mentre porta un drink a quello che poi diventerà il paziente 3. Gli altri sono sparsi e non si guardano nemmeno. Il lettore ricomincia a disorientarsi e legge quasi rabbiosamente le successive venti o trenta pagine, dedicate al viaggio dei poveretti verso la città dove si trova l'ospedale dova lavora quel tristo mediconzolo, con le sue infiermierine e i suoi specializzandi. A questo punto il lettore è convinto di aver capito che tutto nasce da quel fazzoletto, ma procedendo scopre che, atterrati in aeroporto, tutti i futuri malati si trovano riuniti in un gruppo che viene smistato in una sala di recupero bagagli dove, sul nastro trasportatore, viene ritrovato un pollo morto pieno di sangue ed escrementi fetidi. Poi, a sole dieci pagine dalla fine, quando ormai il lettore è esausto, si è preso innumerevoli bustine di antiemetico e si è asciugato la bocca infinite volte dalla bava che cola, il mediconzolo sfodera la sua eccellente capacità analitica ed investigativa e risolve il caso, lasciandosi alle spalle qualche morto (ma sempre pochi rispetto a quello che sarebbe potuto essere, se continuava a fare il cretino). Trattasi di chennesoite acuta. Il contagio è avvenuto per contatto con i bagagli, cosparsi di liquami del pollo, portatore di una rarissima malattia da virus XWPLTIMHGTRDS 35. L'antidoto, ovviamente, si trova al General Hospital e le vittime si salvano quasi tutte, tranne i primi sfortunati, morti mentre il mediconzolo, invece di concentrarsi sui pazienti, si trastullava con una piacente infermierina nello sgabuzzino della camera mortuaria.La parola Fine giunge a rasserenare un lettore sfinito e schifato, che esclama "bellissimo ! " e va, finalmente libero dalla lettura, a vomitare a getto su sua moglie, seduta sul divano, mentre le porge il libro affinché lo legga.
Monica Sapio