Scavo le grotte dell’anima,
piccono la mia scintilla,
cercando la durevole luce,
del mio spirito il bagliore.
Mi trovo a vagare
In una strada trafficata
per ritagliarmi un corridoio di asfalto
che mi porti a casa
nella foga che mi assale
di trovare un nesso
alle cose.
Luce,
più ti allontani
e più queste pagine
si riempiono.
Questa notte
buia e fredda.
Voglio solo hashish e vino,
una penna e un taccuino.
Interessante esordio poetico, per Luca Buonaguidi e la sua prima raccolta poetica dal titolo “I giorni del vino e delle rose” edita da Fermenti. L’esuberanza nel desiderio dell’oltrepassamento del limite, trasforma in pura energia il dire per versi. Scrive Girolamo De Simone nella prefazione: “È gioco facile richiamare la memoria, ma non sempre risulta così semplice farlo quando essa è davvero inconciliata, quando precocemente si è provato a cancellarla, rimuovendo esistenze incomparabili (Striano, Cilio, Caccioppoli, Gatto, quanti eroi smarriti e solo tardivamente riscoperti da archeologi del sapere?). Qui occorre davvero la forza di un gesto prepotente e, direi, autorevole. Non conosco Luca, ma lo riconosco nell’autorevolezza della scrittura, che richiama al noto la dimenticanza di storie appena rimosse. Storie di artisti contemporanei, uomini e donne che particolari circostanze vollero sottrarci. Credo che si tratti di un ulteriore Leitmotiv che percorre la certezza/evenienza letteraria di Buonaguidi: la fragilità/sponda scagliata dalla consapevolezza del limite
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