Magazine Lavoro
Hanno sollevato numerosi commenti le parole di Elsa Fornero sui giovani schizzinosi. Ma non servono i commenti salaci o insultanti. La colta ministra ha usato la parola inglese «choosy» che viene dal verbo «to choose», ovverosia scegliere.
Ed é vero che i giovani d'oggi vorrebbero scegliere il lavoro da fare. Non vorrebbero un lavoro qualsiasi. Non si accontentano di una paga purchessia, in cambio di incombenze spesso umilianti. «Non sono più disposti a tutto», come dice il movimento dei giovani Cgil. Vorrebbero un lavoro corrispondente ai loro studi, ai saperi accumulati, ai sacrifici fatti. Un lavoro vicino alle loro speranze, ai loro sogni. Un lavoro dove poter esprimere le proprie creatività, le proprie conoscenze, dove trovare spazi di autonomia, di partecipazione, di libertà. Sono tutti elementi che, se ci pensate, aiutano la famosa «produttività», non sono incentivi agli scarsi rendimenti. Poiché non aiuta la produttività un lavoro noioso, ripetitivo, asfissiante, vissuto come una burocratica imposizione.
Penso a tante occupazioni alle quali comunque migliaia di giovani si sottopongono con tanta amarezza. Penso alla giovane laureata che mi telefona da un qualche ignoto call center dieci volte al mese per propormi le stupende offerte regalo della Telecom o di Infostrada o di altre compagnie. Io l'ascolto e penso come lei sia costretta a ripetere cento, mille volte la stessa filastrocca, da mane a sera, come fosse a una catena di montaggio. E magari, se nemmeno una di queste conversazioni trova uno sbocco positivo, il suo scarso salario diventa ancora più scarso. È davvero necessario che quel lavoro sia organizzato così? Anzi peggiorato se passasse il piano Passera con i suoi attacchi a orari, salari, contratto, Statuto. Altro che Marchionne e altro che le battute forneriane. Eppure, per tornare alla ragazza del call center, sarebbe possibile, ad esempio, far ruotare le mansioni dentro quella impresa e magari chiedere a lei, giovane laureata, un parere, un suggerimento su come mutare quel tipo di rapporto, spesso ossessivo, col pubblico.
Sono discorsi che valgono per molti altri lavori, quelli dei finti «associati» che nei negozi vengono presi con i contratti a partecipazione e poi non partecipano a nulla. Quelli delle false partite Iva considerati imprenditori ma senza la possibilità di esprimere l'orgoglio prepotente del datore di lavoro perché lui il lavoro lo da a se stesso. Oppure quelli che finiscono nel giro degli appalti delle fabbriche più o meno grandi. Tutta gente dai contratti ballerini, un mese qui, un mese là, un nomadismo disperante, altro che accumulare esperienze formative. Così si arriva presto ai 50 anni senza aver imparato nulla, se non la fedeltà al capo, l'annullamento della propria identità.
Cara Elsa Fornero, se davvero si vuol cambiare certe forme di schizzinosità bisognerebbe cambiare il modo di lavorare, renderlo più appetibile. Riconoscere, ad esempio, il ruolo di cui un tempo andavano orgogliosi gli operai metalmeccanici, i ferrovieri, i mezzadri, le cucitrici, ma anche gli insegnanti, gli impiegati dello Stato. Ridare peso e valore a loro, ai loro meriti, non alle clientele spesso politiche (e perfino sindacali) distribuite ad esempio nelle Asl e non solo. E non ai tanti Fiorito che fioriscono nei meandri di una politica malsana.
Un lavoro siffatto, un lavoro di qualità per una produzione di qualità, dovrebbe essere tra gli orizzonti, le mete, le aspirazioni di un governo progressista. O di chi intende andare al governo.
Non é così a quanto pare per la Ministra che interpreta le aspirazioni dei giovani quasi come un capriccio, di fronte ai vari «piatti» offerti dal menù del lavoro. La verità é che poi alla fine, giorno dopo giorno, quel «piatto» rimane vuoto, sotto il peso della recessione, e i lavori non sono più nemmeno precari. Sono spariti o stanno sparendo. E il futuro fa paura.