“La mia è stata intenzionalmente un’affermazione forte, provocatoria. Viste le reazioni la provocazione ha avuto effetto. Evidentemente definirsi partigiano della Costituzione è diventata una bestemmia. L’arretramento del dibattito su temi come questo è dovuto anche all’imbarbarimento del sistema politico”: ha risposto così alle critiche Antonio Ingroia, sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Palermo. Ingroia si era definito così, partigiano della Costituzione, partecipando al congresso del Partito dei Comunisti Italiani.
A chi ha gridato allo scandalo sarebbe fin troppo facile rispondere che lo scandalo risiede semmai nei comportamenti omissivi, corrivi, compiacenti, censori, complici. A chi parla di giustizia “politicizzata” sarebbe fin troppo facile rispondere che dovrebbero guardarsi in casa a quei giudici ammanigliati con le logge deviate, dalla P2 alla P4, oppure a quei giudici costituzionali ospiti al desco di Berlusconi prima di pronunciarsi su di lui, a quei giudici che hanno scompaginato le carte del le indagini a Bari, o in Sicilia, dove in questi giorni sono stati messi in libertà i supposti killer di Borsellino. E se proprio oggi dovessimo definire eversiva una affermazione, credo ci verrebbe buona la frase spericolata del ministro Sacconi. Più di quella di un magistrato che, proprio come quel ministro sleale, ha giurato sulla carta costituzionale che questo governo considera un vecchio attrezzo da buttare, da manomettere, da svuotare e irridere perché è un baluardo in difesa di quei diritti che per loro rappresentano un ostacolo, un limite al loro disegno di golpe istituzionale, sociale e civile.
E a chi parla di legittimità è giusto rispondere che la democrazia da noi è compromessa da un potere legittimo perché ha vinto le elezioni, ma che non sa usare questa legittimità rispettandone regole e limiti.
Ingroia ha invece esercitato il potere legittimo messo in discussione da chi disconosce la sovranità popolare, il suo sistema istituzionale e l’amministrazione della giustizia aggirando il principio secondo il quale le leggi sono uguali per tutti, sottraendosi con astuzie legislative ad personam e con la corruzione al proprio giudice e disconoscendo l’autorità degli organi di garanzia e di controllo.
Se ha voluto provocare per eccitare animi sopiti, penso che dobbiamo essergliene grati. Fa bene di rifarsi a un caposaldo della filosofia scolastica a proposito del diritto di resistenza dei popoli contro il potere arbitrario. Che deriva o da un abuso che riguarda l’investitura o da un abuso che riguarda il modo di governare. Personalmente credo che l’attuale governo stia usurpando per ambedue i motivi.
Molto c’è da dire sulla trasparenza e libertà delle elezioni che hanno portato questa maggioranza al governo. Berlusconi è il rappresentante su scala mondiale di un ristretto gruppo di attori politici emergenti soprattutto dal settore delle comunicazioni, al servizio di una economia anch’essa sempre più immateriale, che hanno sfruttato le loro formidabili risorse finanziarie e mediatiche per distorcere e pilotare il processo democratico.
E è certo che l’uso che fa del potere è contrario all’interesse del popolo mediante l’abuso delle sue posizioni, utilizzandolo a fini personali di profitto e per sottrarsi alla giustizia, interferendo nella libera formazione dell’opinione pubblica(conflitto d’interesse, diffamazione come arma, ricatti, corruzione), conducendo un tentativo di privatizzare anche la carta costituzionale. E in sostanza indebolendo la democrazia.
E allora non basta l’obiezione di coscienza, non basta la critica, non basta semplicemente fare bene il proprio dovere, se mancano le èlite trasformate in consorterie, se molta parte dell’informazione è felicemente annessa e ammessa ai luoghi che il potere le apre benevolmente, se viene tolta la voce insieme ai diritti e alle conquiste in nome di una “necessaria” rinuncia.
Garantismo è parola abusata per definire di volta in volta giustizialismo, egemonia giudiziaria, addirittura sbrigativo e disinvolto autoritarismo. Tutte forme improprie di una egemonia corporativa che non può che far male alla democrazia. Forse invece è il momento di restituirle dignità, come sistema di tutela delle garanzie, che significa anche rompere la spirale del silenzio che copre la cancellazione di potestà, sovranità, leggi, regole.
In fondo l’ha giurato Ingroia. E se non l’abbiamo giurato dobbiamo comune tener fede al patto stretto con le ragioni dei molti contro l’interesse dei pochi, con la libertà di tutti contro la licenza di pochi.