Nel cuore della Francia, precisamente nel villaggio di Domme sulla Dordogna, c’è un antico castello. Ogni anno vi passano centinaia di visitatori quale tappa di un percorso storico – turistico quasi obbligato. Molto si sapeva del castello, fino a poco tempo fa, poco di quello che in realtà custodiva. Importante, a tale riguardo, si è rivelata la porta detta “delle torri”, sul lato orientale delle mura. Un canonico del posto, di nome Tonnellier, incuriosito dalla parte sconosciuta del castello, decise di chiedere le chiavi della “porta delle torri” al sindaco di Domme e, una volta ottenutele, si addentrò nei misteri, o meglio, nei segreti che quella parte del castello custodiva da secoli. Camminando nei corridoi del castello e sostando passo dopo passo per osservare bene le pareti, il canonico Tonnellier si trovò davanti ad una gran quantità di disegni e di figure: dei veri e propri graffiti incisi nella pietra! Il mondo conobbe allora, per la prima volta, l’esistenza dei graffiti di Chinon, opera dei Cavalieri Templari ivi tenuti prigionieri per un certo periodo prima del processo finale che li avrebbe condotti al rogo e avrebbe soppresso il loro Ordine definitivamente. Figure di Gesù crocifisso, immagini della Vergine e dei Santi; di sicuro queste figure non potevano essere attribuite ai soldati che in genere popolano le fortezze o ai principi guerrieri che vivono nei castelli. Ma alcune parole e frasi incise fra le immagini hanno dato presto la risposta. “Madre di Dio prega per me” dice una scritta. Poco sotto una parola, “Ergastolo”, si ripete più volte. Ed ecco finalmente una data: “1307″, proprio l’anno dell’arresto dei Cavalieri Templari! Altre date seguono, quasi come a scandire il tempo di una prigionia che fu lunga e dolorosa eppure mitigata alquanto, all’inizio, dalla speranza (forse anche dalla certezza) che il papa sarebbe intervenuto in favore dell’Ordine a lui caro, cioè l’Ordine del Tempio. Quando invece accadde l’opposto, poiché Clemente V si lasciò indurre alla soppressione dei Templari dal re di Francia Filippo il Bello, allora sgomento, sorpresa, rabbia, indignazione, forse anche paura si impossessarono dei cavalieri ed esplosero in un’altra serie di graffiti. “Clemente distruttore del Tempio” dice un’epigrafe ripetuta più volte. Un’altra, invece, è più dura e lapidaria: “Clemente è l’Anti – Cristo”. Nelle figurazioni il papa vi appare con tiara e scettro, ma la parte inferiore del corpo è quella di un serpente e San Michele è raffigurato nell’atto di trafiggerlo! Un’altra figurazione mostra un’Idra a due teste, ed entrambe le teste hanno vicino il nome: una quella di Clemente V, l’altra quello di Filippo il Bello! Si succedono draghi e angeli, forse quale espressione allegorica del Bene e del Male; mentre un’altra iscrizione sembra affermare l’importanza dell’Eucaristia per i Cavalieri Templari, infatti dice: “Dio è il mio nutrimento”. Ma qual’è in realtà il mistero, o se si preferisce, il segreto di questi graffiti? Essi furono analizzati in modo molto accurato dallo studioso francese Paul Le Coer. Al momento della costituzione delle Commissioni d’Inchiesta Pontificie, il papa si era riservato di esaminare la posizione dei grandi dignitari templari trattenuti prigionieri. Poiché a quell’epoca egli risiedeva a Poitiers, dove si era trasferito, chiese che queste “alte sfere” templari fossero condotte alla sua presenza per interrogarle personalmente. Né il re né gli inquisitori potevano opporsi a questa richiesta “straordinaria” e fu, così, disposto un convoglio di prigionieri che, da Parigi, si mise in viaggio per Poitiers. Ma quando giunse a Tours, il pretesto di una presunta malattia dei prigionieri interruppe il viaggio. Gli alti dignitari templari furono allora rinchiusi nel castello di Chinon, che dipendeva direttamente dall’autorità del re. Fu in questo periodo di reclusione a Chinon che i prigionieri incisero i famosi graffiti… perché non riuscirono mai a giungere in presenza del papa e vennero, poi, riportati a Parigi. Forse è stato il carattere iniziatico di questi graffiti a colpire lo studioso Paul Le Coer, il quale ha tratto la conclusione che le persone ivi rinchiuse erano degli iniziati. Questi iniziati conoscevano la simbolistica tradizionale certo, ma ci si domanda perché hanno inciso dei simboli che in se stessi non hanno nulla di segreto. Quello che forse era e rimane segreto è il modo di servirsene! Essi, forse, rispondevano e rispondono all’intenzione di comunicare con persone contemporanee o future indipendentemente da chi fossero, purché si trattasse di persone che conoscessero il significato occulto dei segni. I graffiti di Chinon sono sicuramente destinati a persone che non solo conoscevano questi simboli, ma sapevano “leggerli e interpretarli” esotericamente (forse esisteva un sistema prettamente templare per leggerli e interpretarli in questo senso, una specie di “codice” arcano). I graffiti a carattere iniziatico sono: cuori fiammeggianti, croci, triplici cerchi. Il cuore fiammeggiante racchiude in sé i due aspetti di luce e calore: la luce rappresenta l’irradiamento dei suoi raggi, mentre il calore le sue fiamme interne. La croce è la manifestazione dei quattro punti cardinali (est, ovest, nord, sud), ma è anche il simbolo di un potere nascosto e primordiale che risale ad antichissime dottrine iniziatiche, in onore della dea Iside, praticate nell’Egitto dei faraoni, nonché uno strumento di tortura e di morte sul quale si è consumata e realizzata proprio la missione di Cristo sulla Terra. Il triplice cerchio è forse rapportabile alla triplice cinta druidica, la quale rappresenta i tre gradi più alti dell’iniziazione sia materiale che spirituale dell’uomo. Esso ha una sacralità immensa e custodisce dei “canali atemporali”, attraverso i quali l’insegnamento della Tradizione iniziatica si trasmette dall’alto in basso, a partire dal grado supremo che ne è il depositario, distribuendosi gerarchicamente negli altri gradi. Che la corretta lettura e interpretazione dei graffiti di Chinon conduca ad un tesoro di natura incerta? Che racchiudano realmente un messaggio per gli iniziati? Forse. La questione resta tutt’ora aperta.
Francesca Rita Rombolà