Mi inserisco – sebbene in punta di piedi non destreggiandomi, rispetto al topic
della discussione, con l’esperienza di Luca Ferrari e Michele e Scolari – nel
piacevole, interessante e si spera proficuo dibattito in corso su questo blog
(perchè solo qui?). Perchè – nonostante lo pseudonimo non sono un prete –
qualche conoscenza in merito, per la professione che svolgo, l’ho anche io.
Condivido in linea di massima ciò che scrive Scolari, che a sua volta condivide
ciò che scrive Ferrari. Quindi dovrei – per la proprietà transitiva -
condividere anche ciò che scrive Ferrari. Ed invece sposo le sue idee solo in
parte. La penso infatti diversamente rispetto ai cosiddetti Grandi eventi (e
utilizzo una locuzione tanto abusata quanto – forse – eccessiva). Mi riferisco
alle iniziative menzionate da Ferrari – brutalizzo, e mi scuso per questo, il
suo pensiero – quando sostiene che sarebbero appannaggio solo di una minoranza.
Vero o no che sia – non è su questo che voglio focalizzare l’attenzione – sono
per una città come Cremona indispensabili. In quanto volano, occasione di
sviluppo per la città, di rilancio di un settore – quello turistico – non meno
di altri in sofferenza. Violini & torrone: la città del Torrazzo è famosa per
questo connubio. Bene, prendiamone atto e utilizziamolo per svilupparci attorno
quel fecondo underground di cui parlano, perorandone a ragione le potenzialità,
Ferrari e Scolari.
Ciò che serve infatti – e qui la mia idea diventa forse più congruente a
quella di Ferrari – è una cabina di regia (oggi è il valzer dei termini
inflazionati) in grado di armonizzare i Grandi eventi alle iniziative ‘dal
basso’. A tutto quel sottobosco citato da Scolari, in grado di favorire quella
tanto attesa e finora mai realizzata “rivoluzione culturale”. E sono d’accordo
con Ferrari: non è un’utopia. No, non lo è. Naturale – su questo non ci piove -
è la necessità di mediazione da parte del Comune, unico soggetto super partes
(o almeno si spera lo sia) in grado di fare da garante. Da coordinatore. Da
mediatore, appunto. Per non trovarsi nella situazione ipotizzata dai
teorizzatori della teoria dei giochi (vedi il cosiddetto ‘dilemma del
prigioniero’). Ossia: ognuno gioca per sé, corre al fine di coltivare il
proprio orticello. Perché questo è il rischio. Concreto. Fondamentale è
riuscire ad evitare – e lo si deve fare – il conflitto tra scelte individuali e
scelte di gruppo. Perché – sempre dalla teoria dei giochi – “i membri di un
gruppo che perseguono razionalmente il proprio interesse possono ottenere un
risultato inferiore ai membri di un altro gruppo che agiscono in modo contrario
al proprio individuale vantaggio razionale”. Come a dire: la rinuncia di una
parte della propria autonomia da parte dei soggetti attivi per un cambiamento,
unita all’intervento facilitatore dell’ente locale e all’utilizzo degli eventi
di richiamo nazionale come traino, è l’unica strada percorribile per una
palingenesi culturale. L’arte nasce sì per partenogenesi – dice bene Scolari –
ma per affermarsi ha bisogno della politica. Quindi di compromessi,
abdicazioni, concessioni.
Don Pizzarro
45.284833 9.845852