L'impeto del melodramma e la frenesia della black comedy, la riflessione nostalgica sul trascorrere del tempo e la capacità di "catturare la vita" secondo le coordinate del realismo o, al contrario, di una rielaborazione libera da ogni catena. Sono solo alcuni fra i principali ingredienti di quei film, bellissimi e preziosi, che chi scrive ritiene il fior fiore del cinema del 2014, e che vengono ora riproposti nella consueta classifica di fine anno, per celebrare quelle opere che maggiormente sono riuscite ad emozionarmi e a colpire il mio immaginario di spettatore.
Una classifica che, restringendosi ad un limite di dieci titoli, vede escluse (per un soffio) moltissime pellicole encomiabili: dallo spietato ritratto di Hollywood da parte del maestro David Cronenberg in Maps to the stars all'ipnotico vampire-movie di Jim Jarmusch Solo gli amanti sopravvivono, dal buffo e malinconico di Alexander Payne al delicato e romantico di Spike Jonze, passando per il doloroso calvario messo in scena nel pluripremiato 12 anni schiavo di Steve McQueen e per l'asciutta e rigorosa denuncia sociale dei fratelli Dardenne in Due giorni, una notte. Ma passiamo ora alla Top 10 del 2014...
10. SILS MARIALa celebrità nell'era dei new media e la consapevolezza dell'inafferrabilità del tempo, la dicotomia fra la realtà e la sua rielaborazione artistica, il confronto - spesso arduo e problematico - con noi stessi e con la percezione della nostra identità: nel suo film più profondo ed affascinante, il regista francese Olivier Assayas costruisce attorno alla sua musa Juliette Binoche un personaggio, la matura diva Maria Enders, sospeso fra la Bette Davis di Eva contro Eva e la Gena Rowlands de La sera della prima, in un'opera ermetica e di ineffabile magnetismo.
Dopo la meravigliosa trilogia conclusa un anno fa con Before Midnight, il regista americano Richard Linklater prosegue il suo itinerario cinematografico volto a consegnare allo spettatore un'esperienza quanto più possibile aderente alla realtà, colta nelle sue sfumature più quotidiane, attraverso una rappresentazione discreta e spontanea delle nostre esperienze ed emozioni. E il suo progetto, portato a compimento nell'arco di ben dodici anni, può essere considerato come uno dei più stupefacenti esempi di coming of age al cinema, e sembra già in procinto di ricevere la consacrazione dell'Academy alla prossima edizione degli Oscar.
Una bravissima Barbara Sukowa presta il volto alla nota filosofa ebrea tedesca Hannah Arendt nel magnifico film diretto da Margarethe von Trotta, in cui viene ricostruita la genesi dell'opera più famosa e controversa della Arendt, La banalità del male, analisi lucidissima e impietosa sugli orrori della Shoah e le cause del nazismo; e la von Trotta, con un rigore ammirevole, riesce a costruire un'opera priva di retorica o di didascalismi, in cui la fiducia illuministica nei confronti del "pensiero" come primaria facoltà del nostro essere umani viene sviluppata ed espressa in una narrazione incredibilmente coinvolgente.
Il regista americano Noah Baumbach e la sua partner Greta Gerwig firmano una delle migliori commedie dei nostri tempi. Ambientata nello splendido bianco e nero di una New York degna di Woody Allen, fra suggestioni del cinema indie e della Nouvelle Vague, la parabola di Frances Halladay, scombinata quanto irresistibile ventisettenne della Grande Mela, conquista immediatamente per la sincerità e l'empatia con le quali la undatable Frances della Gerwig riesce a toccare le corde dell'animo degli spettatori; e la sua strenua ricerca di un equilibrio semi-impossibile e di una faticosa maturità è in grado di divertirci e di commuoverci al tempo stesso.
Il regista e sceneggiatore David O. Russell confeziona il suo film più complesso, ambizioso e, a conti fatti, il migliore fino ad oggi. Attorno ad una struttura da puro divertissement, che sembra quasi voler aggiornare il modello de La stangata in un contesto squisitamente Anni '70, Russell imbastisce una costruzione vertiginosa ed assolutamente accattivante, regolata da un montaggio impeccabile e dalla più ricca e travolgente soundtrack dell'anno; e con una schiera di divi (Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Jennifer Lawrence e Jeremy Renner) impegnati in una gara di bravura nei panni di goffi e stralunati antieroi votati ad un inesorabile fallimento.
Il testamento cinematografico del maestro indiscusso dell'animazione orientale, Hayao Miyazaki, segna anche l'abbandono della consueta materia surreale e fiabesca per rivolgersi invece alla storia del Giappone negli anni del secondo conflitto mondiale. Tuttavia la parabola di Jiro Horikoshi, ingegnere di aerei da guerra, è quanto di più lontano si possa immaginare da una semplice cronaca biografica: al contrario, Miyazaki rielabora la vicenda personale di Horikoshi secondo una chiave narrativa che amalgama malinconia e commozione, squarci onirici e sognante melodramma, firmando il suo film più "adulto", doloroso e toccante. Le vent se lève!... Il faut tenter de vivre!
Un esordio a dir poco stupefacente, quello del giovane regista e sceneggiatore sloveno Rok Bicek, che mette in scena il confronto / scontro fra una classe di studenti liceali e il loro nuovo, severo insegnante di letteratura tedesca: uno scontro lontano da qualunque traccia di manicheismo, in cui il motore del racconto - il suicidio di una delle allieve della scuola - innesca un gioco al massacro che è anche e soprattutto un forsennato tentativo di fuga dalle responsabilità morali nella fase che segna il definitivo passaggio all'età adulta. Ne risulta un film di sottile e raggelante potenza, in cui, dietro la riflessione sull'istituzione scolastica, fanno capolino pure gli "spettri" (xenofobia, razzismo) della società europea contemporanea.
Sfrenato, rutilante, percorso da un senso di frenesia pressoché incontenibile: il nuovo capolavoro di Martin Scorsese, ispirato alla folgorante ascesa e alla repentina caduta del broker di Wall Street Jordan Belfort, è un film dominato dal delirio di onnipotenza del suo protagonista, sotto il segno di un horror vacui che trasforma l'opera di Scorsese in una scatenata sarabanda di ben 180 minuti ad un ritmo indiavolato. Il leggendario regista americano firma una pellicola travolgente che miscela senza soluzione di continuità il dramma e l'umorismo nerissimo, e regala ad un formidabile Leonardo DiCaprio un ruolo destinato ad entrare negli annali del cinema, permettendo all'attore di sfoderare la sua performance più memorabile di sempre.
Sulla base dell'omonimo romanzo di Gillian Flynn, David Fincher ci regala una delle più vertiginose ed intriganti costruzioni narrative del cinema contemporaneo: un thriller di difficilissima definizione, che si apre come un canonico murder-mystery per poi tramutarsi in una riflessione di sconvolgente acutezza sul lato oscuro celato dietro l'immagine della perfetta famiglia borghese americana, sul rapporto fra la verità (se ancora è possibile parlare di verità) e la sua rielaborazione letteraria, che ne diventa l'inevitabile distorsione. Un film innervato da una suspense infallibile, e che rinnova dalle fondamenta le regole del proprio genere di appartenenza, giocando in maniera superba con le innumerevoli possibilità dello storytelling. E la Amazing Amy impersonata dall'impenetrabile Rosamund Pike è già avviata a conquistare lo status di icona cinematografica del nuovo millennio.
Il più sorprendente, anarchico, emozionante film dell'anno: il quinto lungometraggio del giovane regista canadese Xavier Dolan, ricompensato con il Premio della Giuria al Festival di Cannes, è un melodramma appassionato e struggente, che utilizza tutti gli elementi del linguaggio cinematografico per avviluppare lo spettatore nell'intreccio di sentimenti e di conflitti irrisolvibili fra Steve, adolescente con gravi disturbi psicologici, la sua volitiva madre Diane e la loro vicina di casa Kyla. Grazie ad una messa in scena di straordinaria suggestione, in cui perfino il formato dell'immagine (un inusuale 1:1) aderisce agli stati d'animo dei protagonisti, Dolan ci regala un'opera vibrante ed unica nel suo genere, capace di imprimersi in maniera indelebile nella nostra memoria; anche in virtù di una soundtrack a dir poco da brivido e di un terzetto di interpreti da standing ovation, con due attrici meravigliose quali Anne Dorval e Suzanne Clément.