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I grandi servitori dello stato. americano.

Creato il 12 febbraio 2014 da Conflittiestrategie

Va bene, se non si vogliono chiamare le cose col loro nome ci arrangeremo diversamente. La lingua italiana è vasta e varia, offre alternative semantiche e sinonimiche, circonlocuzioni e perifrasi come nessun’altra. Non definiamo golpe quello del Colle che, come riporta il libro di Friedman, si adoperò per capovolgere il risultato elettorale ed individuare un altro Presidente del Consiglio, nonché un altro governo, facendoselo suggerire dalla Goldman Sachs e dai centri politici che operano dietro ad essa. Lo denomineremo disegno antidemocratico, macchinazione di Palazzo, ingerenza oltre le proprie competenze costituzionali, manovra dietro le quinte, iniziativa inusuale e quanto meno sospetta, “solo” un Piano (dove l’avverbio era apparso in un’altra epoca come aggettivo) e non colpo di Stato. Ma la sostanzia non cambia. Del resto, Giorgio l’americano è un re-architetto ed i suoi poteri sono superiori a quelli del Parlamento. Ce lo ha confermato anche il NYT, organo degli dei dell’olimpo d’oltreatlantico. Insomma, il politico (ex amendoliano) è sovrano.

E’ il medesimo Friedman ad affermarlo laddove sostiene che Napolitano “si è rivelato il presidente più energico, volitivo, interventista che l’Italia abbia visto nell’ultimo mezzo secolo”. Cinquant’anni non sono pochi considerato che il periodo coincide con la nascita della Repubblica e con la sua fine miserabile nell’umiliazione attuale. Molti di questi equivoci li avevamo evidenziati, restando inascoltati, abbastanza prima che venissero raccolti dalla stampa ufficiale.

Se Napolitano, oltre che imperatore autoincoronato, non è anche frate indovino, avendo previsto in anticipo i danni che avrebbe causato Berlusconi, dallo spread impazzito ai conti fuori controllo, vuol dire che le sue esplorazioni extraparlamentari, in momenti non sospetti anche se difficili della vita politica ed economica del Paese, erano rimestamenti nel torbido, iniziali processi di drosizione (detti anche “brigamenti”, mi si passi la boutade chimica) per transitare dalle intenzioni gassose al sodo del suo progetto. Scrive ancora Friedman: “Quando, il 16 novembre 2011, Mario Monti prestava giuramento al Quirinale, gli italiani non lo sapevano, ma a quanto pare l’idea di fare ricorso a Monti era nella testa di Giorgio Napolitano ben prima, già da mesi. Stando ad autorevoli testimonianze, il presidente era intenzionato ben prima del novembre 2011, almeno quattro o cinque mesi prima, fin dall’inizio dell’estate, a cambiare l’inquilino di Palazzo Chigi”.

Per questo dobbiamo necessariamente essere dubbiosi sulla versione ufficiale, ribadita dal Quirinale con la lettera al Corriere di Napolitano dopo le rivelazioni contenute nel pamphlet Ammazziamo il Gattopardo, perché se non lo facessimo dovremmo finire per credere davvero alle virtù divinatorie e anche un po’ iettatrici del Colle. Passare dal cerchio sovrastrutturale alla sfera soprannaturale è anche peggio che vedere complotti dappertutto. Quindi manteniamoci sulle date e sui fatti narrati dai diversi protagonisti, da De Benedetti, a Prodi, a Monti, con le dichiarazioni da questi rilasciate al giornalista americano. Queste date e questi fatti ci confermano che nel giugno 2011, Giorgio Napolitano chiede a Mario Monti di guidare un futuro esecutivo al posto di Silvio Berlusconi; alla fine di giugno Monti parla con Prodi del dialogo avuto col Presidente; ad agosto il professore Bocconiano si confronta De Benedetti sulla proposta del Colle. In questa fase la parola spread non era nemmeno entrata nel vocabolario della lingua italiana, se l’è inventata “qualcuno” successivamente per terrorizzare i connazionali. Il 5 agosto arriva poi la missiva di Draghi-Trichet che “scomunica” Berlusconi e apre le porte al ribaltone. Da quell’evento lo spread impazzirà e a novembre 2011, prima della dimissioni del Cavaliere, toccherà i 522 punti. Se non c’è una intelligenza consapevole dietro a questi episodi concatenati ci sono sicuramente mani più o meno ferme che hanno convocato il cast e tratteggiato la possibile sceneggiatura.
Se tutto ciò rientra nelle competenze del Quirinale ci siamo sbagliati e chiediamo scusa per quelle che potrebbero apparire, in tal frangente, come illazioni e diffidenze ingiustificate. In ogni caso, da quegli eventi in poi Napolitano ha gestito personalmente il pallino della situazione portandoci sull’urlo di un burrone. Monti è stato un disastro e Letta la prosecuzione con altri mezzi uomini di quella disgrazia. Giorgio I di Napoli ha imposto l’uno e l’altro mettendo la propria firma sul doppio fallimento, nonostante i suoi scopi dichiarati fossero quelli di ridare stabilità all’economia e certezza al quadro politico. Se quello che ha affermato Tremonti è vero, e cioè che adesso siamo messi ancora peggio perché “Il debito pubblico doveva scendere e invece è salito. Il pil doveva salire ed è sceso”, il nostro presidente, quasi novantenne, dovrebbe trarne le conclusioni e ritirarsi altrove. Chiuderà la carriera senza scossoni e molte strette di mano. L’ambiente gli è ancora favorevole, così come è inchinato al superiore volere Atlantico. Gli italiani sono ancora quasi tutti americani. Infatti, nonostante la presunzione, gli errori e i punti oscuri, sarà ricordato, almeno nel breve periodo, come un grande servitore della causa. La Ca(u)sa Bianca.

 


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