Poetare stanca?
Di SONIA CAPOROSSI
Osservare dal di fuori un fenomeno socioculturale garantisce, costitutivamente, lo statuto privilegiato e un poco snob dell’outsider. Ed io lo sono sempre stata, come poeta e come critico. Un critico outsider è impuro per definizione, per condizione esistenziale, per stato hegeliano delle cose. Ed al buon intendimento di chi, come direbbe Alberto Savinio, è un ipocrita in senso buono perché etimologicamente “osserva la realtà da dietro la maschera”, insomma al lettore – critico, a chi si picca nobilmente della capacità di disamina delle cose, umilmente vorrei porre due domande molto semplici. La prima riguarda l’abuso di riferimenti all’età anagrafica che sempre più spesso editori, critici ed autori stessi compiono nell’identificazione precipua del poeta in quanto tale, ed è la seguente: che senso ha definire un poeta in base all’età anagrafica? La seconda domanda invece si riferisce alla prassi dei collettivi letterari ed è la seguente: che senso ha far gruppo, gruppo poetico intendo, se poi esso diventa in breve tempo un insieme di Cantor?
La mia idea, molto semplice e poco settaria, è che oggigiorno i raggruppamenti poetici effettuati dall’esterno in virtù di un quid in comune siano diventati, se non impraticabili, quantomeno problematici, da un punto di vista eminentemente sociologico. È questo un discorso di sociologia della letteratura divenuto determinante per identificare in modo chiaro e distinto il panorama di ciò che noi di Critica Impura, nelle riunioni di redazione, chiamiamo spesso “tutto ciò che gira intorno” all’universo poetico e letterario: in particolare, occorre chiedersi che ruolo oggi avrebbe l’età anagrafica nell’individuazione della validità poetica o meno di un determinato scrivente, di un determinato gruppo. E porsi questa domanda in epoca di TQ diviene obbligatorio addirittura in senso morale. Quanto ai gruppi poetici propriamente detti, se volessimo delinearne socraticamente il tì estìn, potremmo definirli istituzionalmente come collettivi di poeti accomunati da poetiche ed intenzioni artistiche comuni. Concepiti in questo senso, non credo che si possa essere loro contrari in senso assoluto, anzi, i gruppi poetici sono stati, all’interno delle varie temperie che hanno conformato la storia della letteratura di questo vituperato Paese, di fondamentale importanza nella determinazione delle poetiche che rivelano il senso di un’epoca: e però, circa lo statuto fondamentale dei collettivi poetici italiani odierni, sorge spontanea un’obiezione la quale, come spessissimo m’accade, assume le nefaste forme di un’elucubrazione filosofica. Un’apparente deviazione logico – matematica, persino, ovvero la seguente.
L’insieme di Cantor, vogliate per un istante seguirmi nel difficile parallelismo, è l’insieme che rimane dopo aver iterato il procedimento dell’individuazione di x intervalli fra 0 e 1 infinite volte; questo vuol dire che, applicando il concetto per analogia alla fondazione reiterata di x gruppi poetici, ciò crea una polvere, un’indistinzione, fino al punto che ci si domanda se all’interno dell’insieme sia presente davvero qualcosa; e allora il gruppo poetico appare in qualche modo come nell’insieme di Cantor. Se non c’è alla base una poetica predeterminata, chiara e distinta, un gruppo poetico o un altro pari sono, e allora che senso ha crearli, non avendo contenuti diversi da comunicare? Si giunge al punto che risultano carenti i contenuti stessi, ovvero la stessa distinzione stilematica, di poetica, di intenzioni, di ragioni. Perché dunque oggi ci si ostina a fare gruppo a rischio dell’indistinzione?
La mia personale risposta al perché oggi continuino a nascere gruppi poetici in assenza di poetiche differenziali è nuda e cruda, senza mezze misure: per ottenimento di visibilità, puro e semplice. È questo il motivo principale per il quale preferisco gli outsider.
Questo non significa che i gruppi poetici non debbano esistere, o siano divenuti di colpo tutti inutili, o non si diano che nell’impostura argomentativa e tematica, o, peggio ancora, non siano che fucine di pubblicità ad personam: significa, piuttosto, che occorre, con tutta l’onestà intellettuale necessaria e sufficiente al mettere in pratica la cosa, pensare di crearne fuori da qualsiasi ormai superata “geografia della letteratura” alla Dionisotti; che pur si mantiene valida come metodo ermeneutico ma che è sempre e comunque un’analisi a posteriori, in senso non esclusivamente geografico – attualizzante, bensì storico – geografico: “lì, lì e lì in Italia sono sorti dei cenacoli letterari; andiamo a studiare filologicamente e sociologicamente come e perché”, ovvero fuori dalla logica del “qua a Cinisello Balsamo manca, facciamone uno”, ché se poi il dialetto cinisellese non è adatto alla versificazione, si fa mucchio e basta, si reitera soltanto la polvere di Cantor: polvere si era, e polvere si tornerà.
Occorre quindi badare, prima di ogni cosa, all’eventualità dell’esistenza reale e concreta di una poetica differenziale che identifichi il singolo poeta o il gruppo, la corrente di cui egli fa parte. Occorre badare, prima di ogni cosa, all’eventualità dell’esistenza della specie poeta habilis, non poi così diffusa ma neanche a rischio di estinzione. Io vorrei infatti che emergessero i Poeti, non i Gruppi; vorrei, ancor prima, per la verità, che emergessero i Versi, non i Poeti. Vorrei, ancor prima, che emergesse la Forma, non soltanto il Contenuto. Perché la poesia è quella strana cosa nella genesi della quale, se la forma non c’è, il contenuto dilegua. Come i confini di un insieme. Come le staccionate necessarie a contenere il discorso, come qualsiasi altro tipo di logos. Vorrei, in una parola, che emergesse il TEXTUS, il TEXTUS, lo ripeto triadicamente come fosse un mantra: il TEXTUS sopra ogni cosa.
Come mi ricordava giustamente Luigi Nacci durante una conversazione di qualche tempo fa su questi stessi argomenti, “della scomparsa dei sodalizi letterari e dei gruppi di tendenza parlava già Berardinelli nella discussa antologia che tutti conosciamo. Ed era il 1975”. E tuttavia, Belardinelli focalizzava un punto che contiene un leggero shifting di significato rispetto a quanto qui si afferma. Così come lo contiene il suo enunciato. Oggi, infatti, i sodalizi letterari non sono scomparsi, anzi, nascono ancora come funghi in virtù del vetusto ed utilitaristico principio che l’unione fa la forza; e tuttavia, gli è che proprio non ha più senso parlare di “gruppi di tendenza”, in quanto il termine “tendenza” nel frattempo è diventato, rispetto all’epoca di Belardinelli, un lessema fuori da ogni enunciato, non più il semema di un discorso. Intendo dire che i “gruppi di tendenza” esistono solo in virtù di un concetto di “tendenza” assolutamente svuotato di pregnanza semantica, cioè di contenuti. Occorre ritrovare, piuttosto, il senso di un farsi gruppo operativo che si occupi esclusivamente della poesia, e non, per l’appunto, di “tutto ciò che le gira intorno”. Sono parzialmente d’accordo con Francesco Terzago quando afferma in questo senso che “l’arte, la letteratura, sono progredite nell’avvicendamento di generazioni e temi, nella lotta per il superamento, mentre ora tutto questo è stato messo da parte”: il punto focale dell’intera questione sembra allora essere il fatto che il conservatorismo intellettuale danneggia la formazione di un qualsivoglia sistema aperto, o gruppo d’apertura alle innovazioni, immobilizzando le nuove generazioni nelle secche castranti dell’autodeterminazione categoriale, nella pratica aberrante del gruppo in quanto, a ben vedere, forma paradossale di riconoscimento ed autoriconoscimento proprio nell’indistinzione. Sorge così un ulteriore problema, che consiste del resto nell’individuazione del conservatorismo di turno, perché non è detto che alcuni gruppi poetici o letterari d’oggi, capovolgendo la visuale, non siano conservatori a loro volta, quando in gioco c’è, oltre all’autoconservazione, l’emersione dal mucchio, troppo spesso scambiata dai simpatizzanti interessati per una sorta di lotta per la sopravvivenza, ma che invece è un gioco al massacro, in cui un naufrago spinge sotto la superficie la testa dell’altro per raggiungere l’aliscafo a discapito di chi rimane indietro.
In larga parte, il quadro desolante che ho appena tracciato dipende da ciò che si intende per textus e dalle differenti accezioni che questo termine fondamentale della critica letteraria racchiude. Richiamarsi alla centralità del textus come, ad esempio, la intendo io significa far salva la necessità che il verso sia il primum. Il prodotto finale come sintesi dei propri sforzi deve stare al centro non soltanto del discorso critico, come è stato più detto che fatto finora, ma anche, ed in modo eminente e sostanziale, del discorso poietico, creativo; questo non significa, banalmente, che i poeti d’oggi non badino affatto alla qualità del loro versificare (per quanto mi riguarda, chi non lo fa non si annovera neanche nella genìa dei poeti: ed io di poeti sto parlando), quanto che, molto spesso, troppo spesso, c’è tutto un universo d’intorno che influisce e devia la natura naturante del poetare, e che si manifesta, nel suo bieco fenomenologizzarsi, in forma, nell’ordine, di concorsi poetici fondati sul feticcio del poeta nomen omen, di polemiche letterarie costruite ad hoc per far polverone attorno al proprio nomen (che poi l’omen e la poesia verranno da sé), di personaggi piuttosto che di libri, di forma piuttosto che di sostanza….Questioni di lana caprina in fibra sintetica, messe in campo perché, come insegna Pagliarani, se si sta zitti poi passa l’onda, e allora tocca parlare, dire pure qualsiasi cosa ma intanto, che diamine, dire!, e scendere in campo e fare e far parlare, “perché sennò sulla coda ci mettono il sale”.
Insomma, per quello che mi riguarda e che riguarda il modus operandi della critica che ama e vuole dirsi impura, ciò che va senza timore espunto è proprio il malcostume di cui sopra. Quanto ai gruppi poetici, il plauso va attribuito, in prima istanza, a quelli che oggigiorno sviluppano un lavoro serio di ricerca sul territorio, di individuazione di voci poetiche giovani e nuove senza l’esclusivo discrimine dell’età anagrafica a discapito del valore estetico del verso e che siano in grado di identificare e stabilire un nesso tra una poetica pertinente ed autonoma ed una teoria della letteratura autosufficiente e non epigonale. Gli outsider, però, quelli che ignorano i collettivi e i sodalizi, capita che a volte spicchino per poiesi. Per energia, per fantasia, per habitus esistenziale ed attitudine poetica totalizzante.
E allora è molto meglio dirla tutta.
Io non credo che andando avanti con la sindrome del TQ si possa campare felici. Voglio dire, se quando scattano gli -anta, ma anche gli -enta, un poeta o uno scrittore che si senta preso in mezzo da una tale prospettiva ermeneutica tarata in partenza diventa per vox populi obsoleto, allora che celebriamo a fare un Zanzotto, attivo fino all’ultimo? O forse la poesia dipende dal personaggio? Ebbene, lo confesserò. Io sono malata della sindrome di Gilgamesh. Non si sa l’autore del poema, non si sa quanti anni avesse, chi fosse, cosa pensasse. Eppure non mi importa, mi va bene lo stesso, e nessuno mai, la dico fino in fondo, si scandalizzerebbe se mai si venisse a sapere chi era, come nessuno si scandalizza a pensare un Omero autore fittizio e collettivo spirito di popolo. Non mi scandalizzo non solo perché i poemi epici citati appartengono ad un’altra epoca in cui la distanza cronologica genera un’indistinzione per forza di cose inerme ed esangue, ma anche e soprattutto perché bado al testo, non all’autore. In fondo, quando leggo, mi si perdoni la tautologia, io debbo solo leggere. E ciò sia detto senza alcun riferimento a Barthes, a Foucault, alla dinamica della sparizione del soggetto e alla morte dell’autore, perché non c’entra nulla: se l’autore non si volatilizzasse affatto come lo strutturalismo prescrive, l’occhio sinoptico del critico non dovrebbe comunque spostarsi dal testo di una sola diottria.
Quanto alla nuova e lanciatissima moda dell’elencatio dei poeti di vent’anni (intendo dire: quelli di valore), oggi mi vengono in mente solo nomi di outsider, laddove tutti gli altri rientrano negli anta e negli enta. Presenti compresi, Ianus Pravo eletto a Re degli outsider avanti con l’età. Fra le nuove leve, ci sono Manuel Micaletto, che versifica molto bene con la sua ironica poetica dell’oggetto, c’è Daniele Bellomi, un poco avanti verso gli -enta ci sono Antonio Bux, Marco Scarpa, le migliori scoperte della Collana Poetica Itinerante (ma non tutte). Ce ne sono anche altri, oggi, di outsider, ma di quelli veri, non à la mode. E tuttavia che senso ha farne l’elenco, se poi ogni dieci anni viene pubblicata un’antologia come “I poeti di vent’anni” (quella a cura di Santagostini intendo), che contiene Alberto Pellegatta, Andrea Ponso eccetera, versificatori degni di ogni considerazione e rispetto che oggi, però, hanno trent’anni ed in base ad una politica editoriale diffusa bisognerebbe contarli fuori dal novero per lasciar spazio a nuove antologie? Allora, ecco la novità: il censimento dei poeti fra i venti e i quarant’anni ideato e diretto in seno al noto progetto di Pordenonelegge. Come dire: allarghiamo un poco a ventaglio l’età anagrafica e facciamone wikipedia.
Mi sorgono spontaneamente alcuni dubbi circa l’opportunità di questa lista, mera classificazione assiomatica che parte da un punto di partenza giudicato anapodittico, e quindi taciuto, in base al quale la semplice presenza di un nome al suo interno farebbe il poeta (facciamo epoké se ciò valga per la poesia). Ho già spiegato in precedenza che per me i gruppi poetici dionisottiani, ovvero geograficamente centroculati, lasciano il tempo che trovano. Ecco, insomma, un altro casus belli su cui si sta già polemizzando. È ancora più evidente come occorra urgentemente un ritorno dell’attenzione, da parte dei critici e dei lettori, alla centralità del textus proprio per combattere dall’interno l’habitus malsano alla semplice ricerca di visibilità, atteggiamento vanesio attraverso il quale dalla poesia propriamente detta l’attenzione s’accentra orizzontalmente sul nomen, che in virtù di chissà quale presupposto dato per buono, diviene omen poeticum non si sa come, non si sa perché. Come se non bastasse, oltre ad essere sbagliata metodologicamente, quella lista è puranco incompleta. La mia paura che un giorno quelli di Pordenonelegge s’incaponiscano anche su un censimento dei critici è reale: si salverà chi potrà.
Ai poeti, in fondo, quella lista è pur sempre prassi utile, per tenersi in contatto, fare cose insieme, creare rete: è anche collegata ad un concorso di poetry trailer. E tuttavia, la riflessione più importante riguarda forse l’evidenza di un fatto: l’impressione che i lettori hanno dei poeti, e non quelli contenuti nella lista della spesa, si badi bene, ma dei poeti in genere, ne risulta deviata, indirizzata, convogliata. Il profano s’affida alla saggezza di Pordenonelegge ignorando che si tratta di una lista categoriale autocostruita per tam tam e conoscenze [i]; vede una lista di poeti, dice: “ah, questi sono poeti” e gli sta bene così. L’indistinzione fra poetiche e stilemi va a farsi friggere danneggiando i poeti stessi, i cui testi, per la milionesima volta, rimangono l’ultima ruota del carro. Il profano esclama di fronte al pordenoneletto: “tu sei un poeta! Ho letto il tuo nome nel censimento”. Sì, ma che diamine abbia scritto quel poeta, in quale occasione, con quali intenzioni, quale sia la sua poetica, che stilemi e retoriche utilizzi di preferenza, quale sia il lavoro culturale che abbia in mente o stia svolgendo, a quale teoria della letteratura o visione estetica si rifaccia, qualcuno oltre agli addetti ai lavori lo sa? Su Critica Impura stiamo pubblicando da tempo testi inediti dei poeti proprio per ovviare a questa manchevolezza nell’atteggiamento dei lettori, diuturnamente coadiuvata dagli autori stessi e da ciò che chiamiamo “tutto ciò che gira intorno”, ovvero l’universo massmediatico circostante atto a conglobare, come un leviatano transeunte, l’innocenza e la sincerità delle cose e dei fatti, anche quelli d’arte. Come ci si difende da questa mercificazione avvilente ed ormai irrancidita? Recitando questo mantra: ogni cosa sta nel testo, il testo è tutto, signori. Si deve arrivare al pubblico tramite le parole, non tramite l’anagrafe.
Non occorre per questo decadere nella sindrome della dissipatio Auctoris, però un sano ribilanciamento fra il valore del testo e quello della mera fama autoriale non guasterebbe. Si tratta, a ben vedere, di un gravissimo problema interno alla critica letteraria, sempre più spesso sotto accusa perché non si impegna in larga parte a svolgere il proprio dovere a vantaggio della propria funzione di trasmissione culturale, perché dimentica troppo spesso che il proprio compito principale consiste nel discernimento tra ciò che è arte e ciò che non lo è. Ciò accade, io temo, perché alla figura del critico è carente un fondamento teorico estetico forte e chiaro. Oggi per la verità, esistono troppi critici improvvisati e troppi addetti stampa che si spacciano per tali. Difficile è identificare una figura di giovane critico che possegga tutti i crismi e le skills, si dice nel mondo dei videogiochi, perché sappia “smontare un grande autore”, come mi suggeriva proprio oggi Davide Castiglione.
Ma se si sanno smontare i grandi, gli epigoni poi scompaiono inevitabilmente nella polvere dell’indistinzione. È naturale, è matematico.
Proprio come un insieme di Cantor.
[i] Dal sito di Pordenonelegge: “Abbiamo individuato una ventina di poeti dai 20 ai 40 anni, in tutta Italia, noti anche per aver organizzato convegni, festival o antologie: abbiamo chiesto loro di segnalarci i più interessanti poeti della stessa fascia di età di loro conoscenza.
Dopo questa prima fase, che ci ha permesso di raccogliere circa 180 recapiti, abbiamo chiesto a tutti i 180 poeti di segnalarci, a loro volta, i poeti da loro conosciuti.
Dei 320 poeti di cui avevamo raccolto la segnalazione, oltre 240 hanno partecipato al documento finale, consultabile sul sito di pordenonelegge e della Scuola di Cinema: una sintetica bio-bibliografia, una poesia e un contatto web danno a questo documento il carattere di un inedito e straordinario punto di riferimento per una mappatura della giovane poesia italiana.” (http://www.pordenonelegge.it/it/tuttolanno/immaginare-poesia.html).