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I have a dream, il sogno di martin luther king

Creato il 30 agosto 2013 da Postpopuli @PostPopuli
 

di Emiliano Morozzi

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Il discorso di M.L. King (da Wikipedia)

“I have a dream: that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed: we hold these truths to be self-evident, that all men are created equal” (“Ho un sogno: che un giorno questa nazione si sollevi e viva pienamente il vero significato del suo credo: “Riteniamo queste verità di per se evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali” - trad. da Wikipedia): si potrebbe riassumere così, con la sua frase più celebre, la vita di Martin Luther King, simbolo della lotta non violenta alla discriminazione razziale che cinquant’anni fa ancora infestava gli Stati Uniti d’America. Odio al quale il reverendo Martin Luther King contrappose da sempre la strategia della non violenza e della disobbedienza civile, per non dare modo a coloro che lo combattevano di avere il pretesto per reprimere nel sangue le proteste contro le discriminazioni razziali.

Una strada sicuramente difficile e pericolosa, ma alla fine la strada vincente, che permise a King e ai suoi seguaci di ottenere l’appoggio non solo della comunità nera, ma anche di una buona fetta dell’opinione pubblica bianca, a differenza di Malcolm X, che invece sosteneva l’incompatibilità tra le due etnie e voleva portare avanti le proprie rivendicazioni con l’uso della violenza, se necessario.

L’America degli anni Cinquanta, sul fronte dei diritti civili delle minoranze, non era molto più avanti rispetto allo stato simbolo dell’apartheid, il Sudafrica. Se negli stati del nord, la comunità nera era tenuta ai margini della vita pubblica attraverso forme di discriminazione striscianti, nel sud la segregazione razziale era addirittura sancita dalla legge, prevedendo ad esempio sugli autobus posti speciali riservati ai bianchi (ovviamente i migliori) e scuole all’interno delle quali i neri non potevano accedere.

In questo contesto, nacquero i primi movimenti per la difesa dei diritti civili della minoranza nera e i primi gesti eclatanti di disobbedienza civile: nel 1955 a Montgomery la sarta Rosa Parks si rifiutò di cedere il proprio posto ad un bianco sull’autobus e fu arrestata. La comunità nera, guidata dall’allora sconosciuto Martin Luther King, decise di opporsi a questa ingiustizia attraverso forme non violente di protesta e il boicottaggio degli autobus pubblici. La protesta andò avanti per mesi, e alle reazioni violente da parte dei razzisti bianchi (arresti, disordini e persino attentati nei confronti dei leader della protesta) King e i suoi seguaci opposero iniziative efficaci, che portarono la battaglia contro la segregazione all’attenzione dell’opinione pubblica americana. A risolvere la questione, arrivò la storica sentenza della Corte Suprema, che dichiarò incostituzionale la segregazione sugli autobus pubblici.

Un’altra grave crisi fu quella di Oxford, quando nel 1962 lo studente nero James Meredith fece richiesta per entrare nell’università locale. Di fronte al rifiuto del rettore e dello stesso governatore, Meredith si appellò alla Corte Suprema, che ancora una volta si espresse contro la segregazione razziale. La sentenza fu aspramente condannata dai segregazionisti, arringati dal governatore Barnett e sostenuti dal futuro governatore democratico Wallace, e il giovane Meredith dovette essere scortato a iscriversi dalla Guardia Nazionale, chiamata a sedare i rivoltosi con l’uso della forza.

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La marcia di Selma (wikimedia.org)

Il 1963 fu un anno cruciale per la storia della lotta alla segregazione razziale negli Stati Uniti: in un certo senso rappresentò il punto più alto del movimento e della carriera di Martin Luther King, che durante la celebre “Marcia per il lavoro e la libertà” pronunciò il celebre discorso “I have a dream“, esponendo ai manifestanti (in gran parte bianchi) il suo sogno di vedere un giorno l’America libera dai pregiudizi e dall’odio razziale.

Le battaglie del reverendo King sono proseguite fino alla sua morte, ma il movimento da lì in poi ha cominciato a non marciare più compatto, anche se ottenne importanti conquiste come il pieno diritto di voto e l’abolizione delle discriminazioni sul luogo di lavoro e nell’affitto delle case per i neri. Il ferimento di James Meredith, il primo nero a entrare in un’università riservata ai bianchi, portò alla scissione dell’ala più radicale del movimento, che voleva ricorrere alla violenza come autodifesa nei confronti della violenza razzista, fino agli esponenti più estremisti che vedevano come unica soluzione il conflitto senza quartiere con l’intera comunità bianca.

Martin Luther King cercò in tutti i modi di tenere unito il movimento, ma non riuscì ad evitare questa scissione, anche a causa dei continui attentati che avevano esasperato gli animi della comunità nera. Nonostante i dissidi, Martin Luther King, fino al giorno della sua morte, continuò a portare avanti le rivendicazioni della comunità afroamericana. A cinquant’anni da quel celebre discorso, gli Stati Uniti d’America hanno fatto sicuramente passi avanti contro la discriminazione (ne è la prova l’elezione di un presidente nero come Barack Obama), anche se il razzismo purtroppo continua a manifestarsi in maniera più subdola e strisciante. Ma se adesso negli Stati del Sud non si respira più quel clima di violenza e di discriminazione che vigeva negli anni Cinquanta, il merito è tutto di personaggi come Martin Luther King, che avevano un sogno da provare a trasformare in realtà.

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