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I laici nella comunità cristiana

Da Agueci

Rivendicato un ruolo di dignità che loro compete

Ogni volta che mi accingo a scrivere qualcosa sul laicato, mi sento  a disagio, come d’altronde quando si parla di persone che, per la loro condizione di vita, sono poste ai margini della società e spesso disprezzati dagli “abbienti”, come i poveri, i carcerati, gli immigrati, gli omosessuali, ecc. Il laico nella Chiesa è stato visto, per centinaia di anni, una parte in subordine di essa. Oggi a nulla è valso dare dignità ai laici, neanche con il Concilio Vaticano II che ha cercato, nelle diverse dichiarazioni (Lumen gentium e Apostolicam actuositatem), di dare valore (almeno come principio) a chi ha ricevuto il dono dello Spirito, alla pari di qualsiasi altro Sacramento. Eppure non è la Chiesa che dà dignità al laico, ma è la sua condizione di essere creato e di partecipante della vita stessa di Dio che lo pone a un livello di parità, addirittura con Dio. «I credenti in Cristo, essendo stati rigenerati non di seme corruttibile, ma di uno incorruttibile, per la parola di Dio vivo, non dalla carne ma dall’acqua e dallo Spirito, costituiscono una “stirpe eletta,, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo tratto in salvo… quello che un tempo non era neppure popolo, ora invece è popolo di Dio”(1Pt 2, 9-10)» (LG 9).

I laici, anche se non fanno parte della gerarchia, sono parte integrante del popolo di Dio e della Comunità. La parola “laico” proviene, infatti, dal greco laikòs e vuol dire “uno del popolo”, laòs significa “popolo”. Il primo a fare uso per la prima volta del termine fu S. Clemente nella Lettera ai Corinti, intorno all’anno 96. Il laicato è la struttura che mantiene in piedi il Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Come non si può pensare che esista un corpo senza il sistema osseo o sanguigno, così non è ammissibile una Chiesa senza i laici battezzati. A ognuno compete però il proprio ruolo insostituibile, come lo tratteggia la Costituzione dogmatica Lumen gentium.

Deriva da ciò che i laici devono assumere una maggiore responsabilità e un reale coinvolgimento e non essere “utilizzati” come surrogato o in sostituzione della gerarchia ecclesiastica: sono chiesa alla pari e hanno, davanti a Dio, un ruolo di complementarietà nell’annunciare e instaurare il Regno di Dio sulla terra. «All’interno delle comunità ecclesiali la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più ottenere il suo pieno effetto» (AA, 10). Vedere come certi vescovi e presbiteri trattano (ahimè molto spesso!) i laici, come se il Divino (e con questo le diocesi e le parrocchie) fosse loro monopolio, fa male al cuore e alla comunione stessa.«Essi esercitano l’apostolato evangelizzando e santificando gli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l’ordine temporale, in modo che la loro attività in quest’ordine costituisca una chiara testimonianza a Cristo e serva alla salvezza degli uomini. Siccome è proprio dello stato dei laici che essi vivano nel mondo e in mezzo agli affari profani, sono chiamati da Dio affinché, ripieni di spirito cristiano, esercitino il loro apostolato nel mondo, a modo di fermento» (AA, 2).

Dopo il Concilio Vaticano II sono nati nella Chiesa i Consigli di partecipazione (diocesani, parrocchiali, ecc.), ma non si può essere aperti ai laici con tali organismi e poi non fare valere mai il loro parere, come se lo Spirito Santo fosse unidirezionale.

Anche oggi, come ieri, l’angelo del Signore parla a noi, come al diacono Filippo (At 8, 26), perché ci possiamo mettere in cammino e annunziare tutti, ognuno per la propria parte, il messaggio di salvezza a cominciare dagli stranieri, proprio come Filippo fa con l’eunuco etiope.

È giunto il tempo di non considerare lo stare nella Chiesa un privilegio per pochi, come testimonia e afferma continuamente Papa Francesco nelle sua quotidiana catechesi. Occorre umiltà, disponibilità e distacco dal potere perché solo così vivremo la nostra Comune-unione con Cristo e i fratelli, dimostrando al mondo che Cristo è veramente Risorto ed è Amore. I discepoli riconobbero Gesù dallo spezzare il pane. Gli uomini dovranno riconoscere Lui in noi tutti, papa, vescovi, presbiteri e laici, dalla condivisione e dall’essere imitatori di Colui che disse: «Se uno tra voi vuol essere grande, si faccia servo di tutti, e se uno vuol essere il primo, si faccia servitore di tutti. Infatti il Figlio dell’uomo è venuto non per farsi servire, ma per servire e per dare la propria vita come riscatto per la liberazione degli uomini» (Mc 10, 43-44). È l’essenza del discepolato cristiano.

SALVATORE AGUECI


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