I latinos sono il gruppo etnico in più forte crescita negli Stati Uniti d’America. A lungo associati all’immagine di un’immigrazione povera: fattorini e portinaie portoricani a Manhattan , camerieri messicani nei ristoranti di Houston , giardinieri guamaltechi a Los Angeles. Ora quello stereotipo descrive solo una parte della comunità ispanica.
Certo si trova in questa comunità , la più alta percentuale di clandestini , sfruttati con salari sotto il minimo legale per fare pulizie o per raccogliere pomodori in California. Ormai c’è ben altro in questo esercito di cinquanta milioni di persone. Al punto che le varie lobby che li rappresentano stanno vincendo una battaglia simbolica : avranno il loro museo a Washington in mezzo a tutte le altre prestigiose istituzioni culturali della capitale.
Sarà un museo completo , racconterà la storia dei conquistadores spagnoli fino alla battaglie per i diritti civili e i conflitti sindacali per la parità salariale dei latinos. Per riuscire c’è voluta l’unione dell’organizzazione progressista La Raza , e la Congressional Hispanic Conference che riunisce tutti i latinos eletti in Parlamento nei ranghi del Partito repubblicano. Una presenza trasversale.
La fierezza dei latinos è alimentata dalla storia di alcuni successi individuali. Le storie e i profili sono molto diversi. Non si può considerare immigrato Carlos Slim , anche se ha passaporto messicano. E’ però l’uomo più ricco del mondo, che per il secondo anno consecutivo ha battuto Bill Gates nella classifica di Forbes , ha investito una bella fetta del suo patrimonio proprio negli Stati Uniti. Gli appartengono pezzi pregiati della storia americana: una quota del capitale del New York Times , una partecipazione ai grandi magazzini Saks. E’ azionista della società petrolifera Usa , la Bronco Drilling , e di un gruppo di private equity , Black Rock.
Fino a poco tempo venivano soprattutto disperati dal Messico , che sfidano la polizia di frontiera e il confine desertico in cerca della Terra Promessa , talvolta morendo di stenti nella traversata. Oppure il Messico era sinonimo delle prime delocalizzazioni , prima della Cina. Per gli californiani , soprattutto ambientalisti, erano quelli che entrarono dal confine meridionale con Tir che non rispettavano la normative ambientali degli Usa. Per non parlare della guerra dei narcos che continua a far strage a Ciudad Juarez.
Dentro gli Stati Uniti , però, il potere dei latinos ha fatto passi da gigante. Obama ha affidato a uno di loro uno dei dicasteri più potenti : è Ken Salazar il suo ministro degli interni , un dipartimento che negli Stati Uniti ha competenze cruciali anche per la tutela dell’ambiente. A destra una stella nascente è Marco Rubio , senatore della Florida , considerato uno dei papabili alla corsa repubblicana per le presidenziali 2012. a 40 anni non ancora compiuti , è ancora più giovane del presidente in carica , Obama. Come figlio di immigrati cubani poveri – suo padre faceva il cameriere e sua madre la donna delle pulizie – anche lui rappresenta un simbolo del sogno americano, l’uomo che si è fatto da sé.
L’ambasciatrice latinos del glamour ispanico è Eva Longoria , star 36 enne della serie televisiva Desperate Housewives. Più volte votata sex symbol d’America , non si limita a dominare le copertine dei rotocalchi e le rubriche di gossip. Grazie alle sue importanti attività filantropiche , è diventata per gli ispanici l’equivalente di quello che Oprah Winfrey rappresenta per i neri : il prototipo della donna imprenditrice , sicura di sé , decisa a restituire alla propria comunità una parte dei frutti del successo. Eva discende da una famiglia di tejanos autentici , cioè abitanti del Texas di lingua ispanica che vantano una presenza antecedente all’annessione negli Stati Uniti.
I Latinos sono orgogliosi del loro mito fondatore, infatti sanno che attraverso l’immigrazione si stanno di fatto riprendendo territori che furono già loro. Nel 1970 gli Usa erano ancora una società prevalentemente bianca con 170 milioni di caucasici , come vengono chiamati tutti coloro che discendono da ceppi europei. L’83% quindi era di pelle bianca. Oggi, in base al censimento del 2010 , i bianchi sono 197 milioni , ma rappresentano il 64% della popolazione . Nel 2050 i bianchi saranno sotto al 50% e quindi diventeranno minoranza.
Senza l’immigrazione l’America sarebbe uno stato stagnante , con problemi di invecchiamento come il Giappone e la Vecchia Europa. Se negli ultimi 40 anni la popolazione americana è aumentata di ben 106 milioni di persone , la stragrande maggioranza di questa viene dalla minoranze etniche. E tra questi i latinos sono di gran lunga la componente più importante : erano il 4,5 % degli abitanti nel 1970 , sono saliti al 12,5% dieci anni fa , oggi sono arrivati al 16,5%. E questi sono dati ufficiali senza considerare i clandestini.
Il politologo Samuel Huntington sosteneva che l’America perderà la sua identità culturale , travolti da un’immigrazione ispanica destabilizzante. Il demografo Glaser avverte i repubblicani che se vogliono vincere le presidenziali non possono limitarsi a cercare voti tra i bianchi non ispanici. Un punto di forza dei democratici è proprio il loro radicamento negli ambienti latinos , grazie alle posizioni tradizionalmente pro immigrati della sinistra. Che però deve stare attenti ai suoi temi cari come : l’aborto, la chiesa cattolica ed evangelica hanno molta influenza tra gli ispanici.
Obama il 20 aprile diede importanza a giovani ispanici in un dialogo nella sede di Facebook a Palo Alto. Obama ha il progetto del Dream Act , con cui vuole creare una corsia per la regolarizzazione dei figli degli immigrati clandestini. I primi a trarre vantaggio saranno i latinos di seconda generazione.