Alchimie del tempo. Alessandra Fiori, Le conseguenze del caso, Milano, Edizioni Piemme, 2010
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di Giuseppe Panella*
Tutto quello che ci accade quasi mai è puramente casuale (come ammoniscono romanzieri, sceneggiatori e registi in conclusione delle loro opere) ma tutto risulta il frutto di una accurata combinazione della necessità e del relativo scivolare delle opportunità nel bussolotto concavo della vita. La vicenda che vede protagonisti Chiara, Marcello e Valeria non ha molto a che vedere con le pure casualità dell’esistenza; sono semmai la conseguenza diretta delle scelte fatte in passato e degli errori consumati nel presente.
«Pienezza è un insieme di frammenti. L’attimo in cui la sfiori. Illusione. Non si afferra. Ma è impossibile non inseguirla, e così, di nuovo, mi trovo a ricercarla» (p. 229).
Tutto comincia con il primo di agosto, la data dell’inizio delle vacanze estive a Fregene, dove Chiara e Marcello hanno una casa (quella dei genitori di lei).
«E’ stato un fatto banale a decidere il trasferimento da Anzio. Quello che spesso accade quando la moglie è in vacanza: mio padre s’è fatto l’amica, mia madre non ha gradito e s’è fatta due conti. Da Roma, per Anzio quasi un’ora e mezza. Per Fregane mezz’ora scarsa. E fine delle scuse. Semplice. Lui sarebbe ritornato a casa ogni sera, anche durante l’estate. Magnifica illusione. Dopo gli iniziali esperimenti in affitto, le corna ci hanno ancorato definitivamente in via Ladispoli 12, dove i miei hanno investito i primi sostanziosi guadagni in una villetta con piscina» (p. 9).
Chiara era la figlia più piccola, nata in ritardo e molti anni dopo i maggiori Giorgia e Giovanni e non sa molto di quella storia che si è consumata quando lei non era ancora in grado di capire con precisione cosa stesse succedente. La relazione del padre con la vedova Ferrante (di cui anche la madre era a conoscenza precisa ma sulla quale non aveva mai preso posizioni drastiche di abbandono e di rifiuto) non aveva mai avuto molta importanza per lei. Chiara aveva deciso di vivere la propria vita con molta caparbietà e incoscienza, facendo un primo matrimonio sbagliato con un giovane napoletano, Francesco, e poi separandosi due anni dopo. Al divorzio, però, era seguito un altro rapido matrimonio con un giornalista sportivo, Marcello, e il risultato più significativo che ne era scaturito era stata la nascita di Emma, bambina un po’ viziata ma a detta di tutti splendida e amorevole. Emma diventa il centro dei suoi interessi e una ragione di vivere nonostante gli inevitabili disagi del parto e dell’accudimento della piccola.
Il rapporto con Marcello, tuttavia, entra in crisi proprio in occasione del soggiorno a Fregane quando, a sorpresa, sbuca dal nulla Valeria Ferrante, figlia della vedova amante di suo padre, che – tale madre, tale figlia – si mette a corteggiare l’uomo che, vanitoso e sensibile alle adulazioni com’è, sembra abboccare. Chiara decide di non accettare questa situazione che non gli sta bene, cerca di sapere quale sia la verità nonostante Marcello neghi la relazione adulterina e, dopo una serie di scontri piuttosto vistosi, approfittando del fatto che il marito ha portato con sé la figlia in visita ai nonni, scende a Sud e rincontra il suo ex-marito. In realtà, anche qui tutto avviene quasi per caso: Chiara sbaglia treno e invece di prendere quello – locale – che porta a Roma, prende un treno a lunga percorrenza che la porta a Napoli Centrale. Ma niente avviene per caso: forse in lei c’è la volontà (inconsapevole, inconfessata, certamente non proditoria) di farla pagare al marito di non comportarsi nella maniera troppo remissiva e acquiescente che ha caratterizzato la vita coniugale di sua madre. Il rendez-vous partenopeo, tuttavia, si rivela un deciso fallimento. Chiara ritorna a Fregene e decide di affrontare la rivale per capire fin dove si potrà spingere nella operazione con il marito. Qui la sua peripeteia (per dirla con l’Aristotele del primo libro della Poetica) conosce il climax dell’agnizione: Valeria, sempre in polemica con il mondo. Sempre in crisi con se stessa, è sua sorella natura, figlia del proprio padre e avuta agli inizi della relazione con la vedova Ferrante.
Una mattina nebbiosa, il padre aveva avuto un attimo di sbandamento sull’autostrada e aveva sbattuto contro un’automobile che sopravveniva dall’altra parte. Se le conseguenze fisiche erano state di poco momento per lui, erano state fatali al guidatore dell’altra automobile che era morto per le ferite conseguite nell’incidente. Il morto si era rivelato come Ferrante, anche lui frequentatore della spiaggia di Fregane e i rapporti con la moglie si erano presto trasformati in sentimenti diversi dall’iniziale (e doveroso) senso di colpa per la morte provocata (certo, anch’essa casualmente). Tra i due era sbocciata una simpatia relativa al lutto subito dalla donna e poi una passione che aveva portata alla nascita di una figlia, peraltro mai riconosciuta. Ma il padre, nonostante la sua nuova relazione amorosa, era rimasto profondamente segnato dalla vicenda vissuta con l’incidente stradale e ne era emersa ansioso e incapace di una vita che non fosse minuziosamente programmata.
Chiara, quindi, si trova con una sorella un po’ riottosa da gestire – una donna che vuole vendicarsi della sorellastra in un primo tempo ma poi finisce per accettare che la vendetta ha senso fino a un certo punto. Così l’amore per Marcello finisce per trionfare sulla rabbia e il disappunto:
«Perché Marcello è così. Capisce, ma non lo dà a vedere. Perché ha gli occhi limpidi e le bugie non le riesce a dire. Allora meglio tacere. Sparire. Perché più di tutto ama ridere e la sua famiglia è uno scempio, ma lui non sa drammatizzare. Perché è solo ma non si sente tale. Perché sa fare l’amore. Perché per lui è una vittoria riuscire a farti felice. Perché è curioso. Perché reprime tutto e allora sta male. Perché ama Emma. Perché fa quello che voleva e ancora non gli sembra vero. Per come si muove. Per il suo odore, per come mi bacia, perché non conosce il rancore. Perché se lo ferisci si piega, lui non riesce a gridare. Perché si lascia svilire; perché gioca in difesa, non gli piace attaccare. Perché è egoista, vanitoso e a me va bene lo stesso. Perché si illude ogni volta e la prossima farà lo stesso. Perché non ha neanche una cravatta e per quel matrimonio gliel’ha prestata mio padre, non appena seduto se l’era già levata. Perché può parlare di tutto, ha le spalle larghe anche quand’è curvo. Per come mi guarda. Perché non si incattivisce. Perché il giorno in cui troverà un altro amore, allora non ci sarà più niente da fare, intanto, però, io sola potrei anche bastare. Per quella cornice ancora bianca. Perché è insicuro, ma non aveva dubbi, avrebbe vinto Barack Obama. Perché Emma gli somiglia. Ma i figli sono tuoi eppure no, non li scegli. Perché mi ha chiesto di sposarlo in pigiama, niente anello. Perché ho detto sì, senza pensarci. Perché ho fatto bene» (pp. 229-230).
Romanzo solo apparentemente dalle tinte “rosate”, con qualche tocco d’appendice vecchia maniera (l’agnizione finale potrebbe “fare” molto Carolina Invernizio), il libro dì esordio di Alessandra Fiori è, in realtà, un apologo sul gioco dell’amore e del caso, sulla contingenza come forma strutturale delle vicende della vita, sulla necessità di capire che quello che accade non sempre è frutto di volontà maligne o interessate ma che spesso quello che deve necessariamente affrontare (la classica tegola che si stacca dal cornicione della casa sotto la quale ci si trova a passare per caso e senza alcun sospetto per quello che potrà avvenire) ha cause e ragioni che non si possono prevedere né tanto meno reprimere o rifiutare in astratto. Il caso non domina mai sovrano ma le sue conseguenze possono sempre essere assai diverse da quelle che si vorrebbe che fossero.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)