Amici, amanti e altre specie di esseri umani. Marco Piermattei, I padri di Raul, Firenze, Romano Editore, 2011
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di Giuseppe Panella
Sulla copertina di questo primo romanzo di Marco Piermattei si vede, schizzata con mano sicura dal tratto di Marzia Pieri, una giovanissima donna seduta sulla tazza di quello che si intuisce essere un w.c., mentre mostra le sue mutandine abbassate, le mani incrociate sulle ginocchia e si vede distintamente che porta ai piedi un paio di squillanti scarpe rosse in bella evidenza.
E’ la scena centrale del romanzo, quella da cui partirà tutto l’intreccio psicologico e umano che contraddistinguerà le vicende narrate nella storia del desiderio triangolare vissuto da Danilo e Maurizio, amici per la pelle fin dall’infanzia, una conoscenza nata all’asilo, dove si sono conosciuti dopo una rissa, tanto breve quanto sanguinosa soprattutto per il morale del primo, risultato sconfitto, e Glenda, la bambina mostrata in primo piano e da loro contemplata con stupore proprio mentre si trova nel bagno della scuola. La vista della ragazzina affascinerà Maurizio per tutta la vita mentre lascerà (apparentemente) indifferente il più prorompente e vivace Danilo.
Il rapporto a tre tra Danilo, Maurizio e Glenda è complicato, tuttavia, dalla presenza del fratello della ragazza, Vittorio, che tutti chiamano Bonzo e che ha rapporti conflittuali e violenti, da vero bullo, con i due amici. Durante una partita di calcio, il ragazzo colpisce brutalmente Maurizio e lo lascia a terra – Danilo giurerà che la pagherà. Il che avverrà puntualmente cinque anni dopo.
I due ragazzi scoprono per caso (si sono allontanati sfuggendo alla sorveglianza della mamma di Maurizio) che don Giuseppe, il loro parroco, stimato organizzatore di campi estivi per la gioventù e di partite di calcio, è un omosessuale attivo e passivo, dedito con intensità degna di miglior causa alla ricerca di sempre nuovi partner anche venali. Soprattutto si serve di un indirizzo di facciata che nasconde in realtà una casa di malaffare. Decidono quindi di spedire a Bonzo una falsa lettera femminile per indurlo a recarsi all’indirizzo del bordello chiedendo di don Giuseppe. Il trucco riesce e Bonzo ne resterà traumatizzato per sempre.
Ma resterà molto turbato anche Maurizio che confesserà tutto ai suoi genitori. Il padre di Danilo, un militare di alto livello, severo cultore della disciplina e del rigore formale nei rapporti umani, informato dei fatti, punirà il figlio separandolo dall’amico e spedendolo nel profondo Sud in compagnia di Gilberto, il suo uomo di fiducia. Nei rapporti tra di loro pesa moltissimo l’inquietante figura della mamma, donna turbata e nevrotica, autrice di un tentativo di suicidio che le è costato l’uso delle gambe (un secondo tentativo compiuto più avanti nel tempo, invece, le riuscirà).
Danilo sente profondamente l’assenza della madre, invalida e persa nella contemplazione dei propri fantasmi interiori. L’ombra della malattia mentale aleggia spesso su di lui. Maurizio, invece, rimasto figlio unico (il fratellino che si sarebbe dovuto chiamare Raul, è stato soltanto un desiderio della madre che si è vista costretta a prendere la decisione di abortire), si trova ad essere l’oggetto del desiderio e delle speranze dei suoi genitori in una sua migliore riuscita nella vita e in una possibile ascesa nella scala sociale. E’ una situazione che finirà per essergli di peso e, infatti, preso coraggio dopo il ritorno di Danilo e la ripresa dei loro rapporti, finirà per andare via di casa a vivere da solo. Ma quello che segnerà davvero la sua vita è l’altalenante storia d’amore con Glenda che non sembra prenderlo in considerazione, nonostante la sua corte attenta, silenziosa e gentile. La ragazza è innamorata di Danilo, nonostante si sia concessa a molti uomini e abbia vissuto un’esistenza disordinata, fatta di rapporti promiscui e insignificanti, tra alcool e droghe leggere. Anche a lei pesa molto l’assenza della madre, scappata di casa per inseguire il sogno del palcoscenico come ballerina e cantante il che ha rafforzato il ruolo del padre, figura timida, trepida ma paziente e determinata, sempre presente. L’incontro rinnovato con Maurizio sembra ridarle una certa stabilità ma il ritorno improvviso e inopinato di Danilo rimetterà tutto in discussione. Intanto, sfumata la relazione con la ragazza, è la scrittura la dimensione nella quale Maurizio cerca una sorta di parziale risarcimento per la storia mancata con Glenda. Quando però il nuovo amore tra la giovane donna e Danilo è di nuovo in crisi per la forte instabilità di lui, la soluzione che i tre escogitano è tale da risultare trasgressiva e coinvolgente, affettivamente protettiva insieme.
La scelta di un amore a tre ricorda la vicenda narrata in Jules e Jim, il capolavoro letterario di Henri-Pierre Roché pubblicato nel 1953 (e poi portato sullo schermo con efficacia straordinaria da François Truffaut nel 1962). In esso la straordinaria amicizia tra Jules e Jim è complicata dallo stesso intenso amore che entrambi provano per Helen Grund, la donna della loro vita.
La vicenda dei due amici legati a filo doppio per la vita, però, lascia intuire la lettura e l’apprezzamento per Due di due di Andrea De Carlo, un romanzo del 1989, che tratta vicende analoghe anche se (ovviamente) con esiti molto diversi.
Allo stesso modo, Glenda lascia e prende i due amici a seconda delle sensazioni che prova e dell’amore che crede di provare per essi finché, alla fine, decide di essere innamorata di entrambi e di voler vivere con loro in un ménage à trois. Durante un rapporto sessuale con entrambi, viene concepito un bambino cui verrà dato il nome di Raul (in ricordo del fratello di Maurizio mai nato perché abortito dalla madre). Ma quando Danilo si allontanerà dalla casa una volta condivisa con Maurizio e blenda e, ormai in preda ai propri demoni interiori, finirà con lo scomparire in mare, i due superstiti del terzetto rimarranno a vivere la loro rimanente esistenza insieme. Raul rimarrà alla coppia come vivente testimonianza di Danilo con il quale c’erano stati malumori per l’attribuzione diretta della paternità (eco forse di quanto accade in O di uno o di nessuno, dramma di Pirandello del 1929, in cui Carlino e Tito, due veneti impiegati in un ministero romano, si dividono tranquillamente le grazie di Melina, esile e docile prostituta del loro paese ma che, fino alla fine dell’opera, si contendono la paternità del figlio nato dai rapporti avuti con lei, morta durante il parto). In I padri di Raul la conciliazione finale, tuttavia, non appare forzata perché i due superstiti si ritrovano sulla base di un amore che, se non è passionale da parte di lei, è stato lungamente coltivato, con pazienza e dolore, da parte di Maurizio che ha saputo aspettare per tutto il tempo necessario, senza cedere alla tentazione della fuga, rifugiandosi nella sua vocazione di scrittore..
Il romanzo è scritto dal punto di vista dei tre protagonisti che si alternano nel corso della narrazione.
Inizia Maurizio per un buon numero di capitoli, poi Glenda e brevemente Danilo e poi ancora Maurizio e così via fino alla fine quando sarà una lettera di Danilo a lasciar presagire lo scioglimento tragico della vicenda. Le parti in prima persona di Maurizio sono quelle più numerose mentre a Danilo e a Glenda è concessa una partecipazione meno fitta ma non per questo meno intensa (o toccante – come è il caso del racconto della relazione “impossibile” tra il ragazzo e sua madre). Il cambiamento del punto di vista, pur non alterando lo stile di scrittura in senso lessicale e linguistico, permette di evitare l’appiattimento sul solo punto di vista di Maurizio che, pur restando il perno intorno al quale il romanzo gira, trova il proprio contrappunto nelle confessioni di Glenda e nelle dichiarazioni angosciate e rassegnate del pur vitale Danilo. Si tratta, in fondo, di un romanzo tutto basato sui personaggi, fondato più sulla “storia naturale” delle anime che lo popolano che sugli accadimenti che ne sviluppano e approfondiscono la diegesi.
L’idea di alternare le diverse narrazioni dei personaggi e di mostrare il loro modo di articolare e gestire le diverse situazioni in cui vengono a trovarsi permette di articolare ulteriormente il loro “romanzo di formazione”, evitando le secche e l’unilateralità del “monologo interiore” tipico dell’utilizzazione della prima persona che, se dà vivacità e sveltezza al racconto, lo restringe all’interno della coscienza affabulante del Narratore singolo.
Piermattei ha scritto un romanzo sobrio ma, nel contempo, attraversato da correnti di forte espressività. Tutte le parti relative alla nascita dell’”amicizia assoluta” tra Danilo e Maurizio, ad esempio, o la nascita dell’attrazione amorosa nei confronti di Glenda da parte di quest’ultimo sono efficaci senza voler colpire a tutti i costi con la presenza di immagini ad effetto.
Anche per il romanzo di Piermattei, allora, l’importante è riuscire a capire la metafora di fondo che la sostiene e permette di farla vivere narrativamente. Come dice Glenda della volontà di essere scrittore da parte di Maurizio e dei suoi primi tentativi, esili e scomposti, per riuscirci a pieno:
«Oh, non lo so come si scrive un libro, o un racconto, o una poesia. Mi sa che è come un lavoro. C’è il lato divertente, ispirato, personale, e c’è quello del metodo e della disciplina. […] Il problema, diceva Mau, era tirar fuori la morale da quella storia» (p. 289).
Qual è, allora, seguendo questa indicazione, la “morale” o, meglio, la metafora che regge questo romanzo? Probabilmente il fatto che la vita, come la felicità o l’amore, alla fin fine non è altro che “una lunga pazienza” (Albert Camus, La morte felice).
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)