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I LIBRI DEGLI ALTRI n.31: Tutti i colori della notte. Giovanni Agnoloni, “Sentieri di notte”

Creato il 24 febbraio 2013 da Retroguardia

Giovanni Agnoloni, Sentieri di notteTutti i colori della notte. Giovanni Agnoloni, Sentieri di notte, Roma, Galaad Edizioni, 2012

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di Giuseppe Panella

Il primo romanzo di Giovanni Agnoloni è certamente un thriller ispirato alla poetica futurista del Connettivismo ma è anche – e soprattutto – una ricerca spirituale, quella che nel linguaggio del romance viene definito una quest. Pur essendo marcato da momenti decisamente ispirati al cinema d’azione e contenendo al suo interno momenti concitati e parossistici, il libro non può essere letto senza tener conto dei suoi caratteri di forte spiritualità e di tensione morale.

Quello che interessa soprattutto ad Agnoloni è di costruire un progetto di esplorazione del Sé e di completarlo non solo attraverso una meditazione di carattere personale sul mondo ma anche mediante un evento generale che vi conduca la soggettività che si trova coinvolta in esso.

La vicenda al centro del romanzo di Agnoloni è apparentemente semplice ma le diverse filiere dell’azione che conducono mano a mano verso la conclusione della storia sono complesse e affondano in profondità nel destino non solo dei personaggi principali ma anche della soggettività e della società europea in un’epoca immediatamente successiva alla nostra (e che ad essa somiglia moltissimo). Il punto di partenza, l’evento straordinario e fortemente perturbante da cui parte il tutto, è il gigantesco blackout che mette fuori combattimento praticamente tutto il sistema elettrico-informatico dell’Europa occidentale. I diversi protagonisti della storia dovranno affrontare una situazione eccezionale alla quale non si sentono né sono preparati.

Luther, un androide perfetto sotto ogni punto di vista, molto più simile ad un essere umano di quanto lo siano simili creazioni cibernetiche, si risvela sulle sponde del lago di Lucerna a fianco del cadavere del suo padre tecnologico, Joseph Hermann, e si mette in viaggio verso Lucerna dove sa che lo attende una persona con la quale compiere la missione per cui è stato costruito e programmato. Nella città svizzera abita Christoph Krüger, un geniale programmatore informatico cieco. Luther lo convince a ritornare sul luogo in cui la vita si è risvegliata nel suo organismo cibernetico e lo spinge a compiere un viaggio, apparentemente ancora non giustificato a Berlino. Anche Kristine Klemens, autrice di polizieschi di impostazione noir e compagna nella vita di Piotr Woźniak, funzionario della ditta Macros, proprietario e gestore unico dei flussi energetici e telematici  presenti nelle reti di tutta Europa e in quel momento decentrato a Berlino per conto della società per cui lavora, si mette in viaggio verso Berlino per ritrovarlo e ricongiungersi a lui. Prima di farlo, tuttavia, passa negli uffici del proprio agente letterario, Anders, per consegnargli la pen-drive che contiene il suo ultimo romanzo, episodio terminale della saga del commissario Franck Vlaminck, il suo travagliato eroe seriale. Infine, a Cracovia, vive Desmond, un angosciato studioso di teologia di origine irlandese che sta affannosamente cercando di elaborare il lutto per la morte improvvisa di Leyla, la donna amatissima e da lui considerata una sorta di spirito-guida nella vita.

A Cracovia è avvenuto qualcosa di sconvolgente: il tentativo di riplasmare la città polacca e i suoi antichi monumenti attraverso l’utilizzazione di una fitta rete di ologrammi architettonicamente modulati perché sostituissero le strutture originarie ha creato una forma fino ad allora mai vista di nebbia fitta e vischiosa che avvolge l’intero centro storico della città. Questo fenomeno viene denominato brevemente come il Bianco:

«Il tempo stava per scadere. Quattro, cinque giorni al massimo e il Bianco si sarebbe impadronito anche del centro. Erano gli esiti estremi del grande progetto di riconfigurazione olografica degli spazi urbani: immensi proiettori sparavano fasci laser capaci di disegnare edifici avveniristici, che macchinari di ultima generazione avrebbero realizzato nei minimi dettagli, guidati dallo stesso programma che aveva ideato le costruzioni. Ma qualcosa era andato storto: dal cuore dei cantieri era nata una foschia, dapprima leggera, poi sempre più densa, che si era portata via tutto. La periferia era stata gradualmente risucchiata, insieme a tutti i suoi abitanti. La metropoli, solida nel suo nucleo, man mano che dal centro ci si spostava verso i margini perdeva consistenza» (p. 17).

Qui Agnoloni utilizza uno dei temi topici della letteratura d’anticipazione e una delle figure letterariamente più agghiacciante nella storia del romanzo moderno[1]. E’ l’orrore del Bianco che avvolge tutto e tutto inghiotte al proprio interno insondato e insondabile, infinito e in conoscibile (è la visione, ad esempio, su cui si chiude il grande romanzo di Edgar Allan Poe dedicato alle Avventure di Arthur Gordon Pym del 1838).

Desmond deve uscire dal Bianco per intraprendere la quest personale che dovrebbe portarlo alla scoperta della verità sui di sé (ha perso la memoria) e sulla morte dei propri genitori avvenuta anch’essa in circostanze misteriose. Essi – come poi farà lui stesso – erano teologi eterodossi impegnati nella ricerca di quella che ritenevano la Fonte unica della spiritualità umana, il Luogo al quale attingere la forza e l’energia spirituale per risanare il dolore di vivere e trovare conforto e riparo dalla morte come il destino universale su tutti incombente.

Tutti questi personaggi, dunque, convergeranno su Berlino considerandolo un crocevia umano e sociale fondamentale per il destino dell’Europa e per le sorti economiche e morali della cultura occidentale. Qui sarà chiarito anche il motivo fondamentale del grande blackout prodotto dalla Macros e la sua volontà di impadronirsi del potere assoluto attraverso la gestione e il controllo delle fonti d’energia. Grazie allo “spegnimento” del mondo, infatti, la società privata che gestiva l’erogazione di energia in tutta Europa avrebbe approfittato per bloccare tutte le possibili vie d’accesso e di rifornimento dei diversi paesi europei imponendo così il proprio dominio e le proprie condizioni di controllo politico. Sarà grazie all’azione combinata del team composto da Luther, programmato in maniera perfetta sentire come un essere umano e a gestire emozioni e passioni, di Christoph in grado di controllare le evoluzioni informatiche del piano della Macros, di Desmond capace di condurli all’obiettivo con l’aiuto postumo di Leyla e della sua invenzione (l’infravisore in grado di penetrare il buio e il Bianco) e dell’incontro tra Kristen e Piotr a Berlino dove riusciranno a comunicare, salendo molto in alto sulla gigantesca antenna radiotelevisiva che svetta su Alexanderplatz, con John Myers, un altro radioamatore amico di Joseph Hermann e a conoscenza dell’intrigo della Macros, individuando così il “cuore nero” della cospirazione da essa condotta e messa in atto e scrivendo  la parola Fine al “giorno più lungo” dell’Europa futuribile (ma non troppo) uscita dalla penna di Giovanni Agnoloni.

Si tratta di un incubo lungo un giorno e una notte attraversa il testo narrativo dello scrittore fiorentino e lo trafigge con le potenziali ferite di cui soffre la soggettività contemporanea: mancanza di un Centro cui fare riferimento per una richiesta di aiuto e per rafforzare le proprie difese contro lo sconforto e il “male di vivere”, morte di un modello condiviso di spiritualità eccessivamente articolato in maniera centripeta e incapace di coglierne tutte le molteplici potenzialità e sfumatura, necessità di ritrovarsi in un contesto che salvaguardi le esigenze del progresso scientifico e tecnologico senza depauperare il sapere umanistico della grande tradizione europea. In un romanzo solo apparentemente virato lungo il ritmo del genere, emergono le contraddizioni e le difficoltà dell’esistere umano in un’epoca che della crisi continua e del conflitto come regola di vita sembra aver fatto il proprio scudo contro il futuro. Mescolando suggestioni della fantascienza hard (quella del “periodo d’oro” degli anni Trenta-Quaranta: i robot antropomorfi pensati come le macchine più audaci e intraprendenti al servizio dell’uomo) e l’insegnamento della “psicologia del profondo” di matrice junghiana (con prevalenza della sua variante legata all’insegnamento di James Hillman), lo scrittore fiorentino trasforma un intreccio che altrimenti sarebbe potuto sembrare simile a quello di tanti altri romanzi della stessa matrice in un apologo sulla contemporaneità malata e inquieta ma attraversata dal desiderio di guarire e di ricucire ferite aperte da secoli e mai veramente rimarginate. Come rivela Desmond in finale di partita, nel momento in cui i giochi stanno per essere chiusi e la verità finalmente rivelata:

«Adesso non provavo più angoscia all’idea del volo, come se questo avvenisse dentro di me, portandomi lontano dal dolore. Era qualcosa che aveva a che fare con la parte più intima del mio cuore, dove si trovava il germe delle mie scoperte. […] Compresi appieno che l’uomo nuovo, il Sé, la radice dell’identità. Erano la quintessenza di ogni illuminazione, il portale di ogni nirvana e la stanza del satori, dove si realizzava l’incontro con il Figlio dell’Uomo. In quella dimensione, mi aprivo a un orizzonte eterno che era spirito diffuso ovunque, compresente alla materia e coincidente con ogni atomo del cosmo» (pp. 204-205).


[1] Su questo tema letterario cruciale, cfr. il bel profilo di sintesi ad opera di A. CASTOLDI, Bianco, Firenze, La Nuova Italia, 1998 e, in ottica psicoanalitica e di storia delle religioni, il volume collettivo Il sentimento del colore. L’esperienza cromatica come simbolo, cultura e scienza (con saggi di S. Sambursky, G. Scholem, H. Corbin e una prefazione di M. Eliade), Como, Red Edizioni, 1990.

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[Leggi tutti gli articoli di Giuseppe Panella pubblicati su Retroguardia 2.0]

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

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