La teoria del crollo. Michele Dalai, Le più strepitose cadute della mia vita, Milano, Mondadori, 2012
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di Giuseppe Panella
«Si potrebbe pensare che in fondo sono una persona simpatica, che prendere così bene le proprie debolezze non può che essere segno di grande presenza di spirito, di assoluta autoironia. Per nulla. Io mi prendo terribilmente sul serio. Mi prendo sul serio e pretendo che chi è con me faccia altrettanto. Credo che questo combinato disposto tra i miei voli rovinosi e l’esplosione di gioia involontaria che li accompagna sia da interpretare come una severa punizione. Prendersi sul serio è faticoso, ha a che fare con la gravità di gesti, parole e condotta. Anche cadere ha a che fare con la gravità. Cadere e ridere, invece, hanno un legame del tutto casuale e questo modo di far saltare l’equazione spariglia le carte, le disordina mentre io amo l’ordine e la precisione. Infatti la sola idea che “gravità” e “gravità” non vogliano dire la stessa cosa mi turba molto, mi mette le vertigini, ma non sono le vertigini a provocare le mie cadute. Non quelle parossistiche posizionali benigne, non la labirintite, non l’artrosi cervicale, non traumi, non allergie e nemmeno sindromi ansiose. Sono un tipo calmo, io. Cado perché cado e non c’è modo di smettere : questo abbiamo stabilito io e il dottor Zucker del Centro dell’Equilibrio, che frequento da quasi un terzo dei miei trent’anni. Insomma mi chiamo Antonio Flünke e ho seri problemi con l’equilibrio in ogni sua accezione, non bastassero quelli con le equivoche gravità»[1].
Ma non solo Flünke che, nel suo stesso nome, evoca lo “scivolone” (il Durchfallen del tedesco) soffre di cadute e scivolate improvvise a terra – nel corso del romanzo vengono descritte analoghe situazioni relative a personaggi più illustri come Margaret Thatcher caduta prematuramente a Pechino, Gerald Ford, divenuto presidente statunitense per caso (solo perché subentrato a Nixon dimissionario per via del Watergate) e qui descritto mentre inciampa a Vienna[2], Karol Wojtyla scivolato nel suo bagno di Città del Vaticano per finire con un femore rotto, Michael Spinks, grande pugile peso massimo abbattuto sul ring di Atlantic City dalla “Bestia” Mike Tyson[3] e, infine, Enrico Berlinguer stramazzato morto a Padova durante l’ultimo comizio della sua vita.
Sono tutti esempi di cadute celebri (siano esse state vere o meno) che individuano il tema centrale del romanzo. Ma il problema “vero” sul quale ora soffermarsi è un altro: perché l’ormai trentenne Flünke cade a ripetizione dall’età di cinque anni? Malato certo non è, tanto è vero che il dolce dottor Zucker decide di non occuparsi più di lui e lo manda dalla psicoterapeuta bellissima che si chiama, invece, Limone e con quale avrà un rapporto terapeutico molto conflittuale.
E, allora, perché cade? Per colpa del rapporto mancato e interrotto tra i suoi genitori, Friedrich, ex-modello maschile di pellicce e la madre, Carla Torazzi, istruttrice romagnola di nuoto ? Forse ma non è certo sicura come diagnosi centrale per il suo disturbo.
Il fatto è che Antonio non sa bene cosa vuole fare nella vita e fino ad allora si è limitato a galleggiare come aspirante musicista e cantante grazie agli assegni del padre che ha ereditato, a sua volta, da suo padre Poldi una considerevole fortuna. Ora, invece, vuole tentare la fortuna come voce solista in una boy band sul modello di quelle che spopolavano sulla scena musicale dei teenager (e di cui oggi si ricordano solo gli appassionati del pop).
Il loro punto di riferimento sono gruppi come i Take That (composto però da ben cinque elementi tra cui l’ormai consolidato Robbie Williams) come pure i Backstreet Boys o i Ragazzi Italiani, complessi formati da elementi molto giovani e poco dotati sul piano vocale che alternano esibizioni canore a numeri di danza sulla base di elementi coreografici poco più che elementari.
Antonio si rivolge a un individuo non molto raccomandabile e piuttosto contorto, Giacomo Rota che si fa chiamare JR, che gli farà da impresario e che gli presenta altri due aspiranti artisti: Alessio detto Bello, dalle incerte origini ma che posa a sudamericano e nella vita fa lo sciampista (e poi il gigolò per vecchie carampane) presso un parrucchiere per signore e Federico che si è tradotto la prima parte del nome in Faith. Federico vive presso un nonno, Riccardo Sanpa, che lo accompagna alle prove e lo considera la luce dei suoi occhi. L’anziano personaggio si presenta ad Antonio sotto vesti diverse, palesando una schizofrenia che non riesce a nascondere troppo bene e risultando prima un antifascista al centro di violenti e sanguinosi scontri a fuoco contro i soldati tedeschi occupanti il Nord Italia, poi come un podestà nominato in mancanza di quello effettivo catturato dai partigiani che ha svolto egregiamente le proprie funzioni di saggio amministratore pur essendo fortemente critico nei confronti del passato regime fascista e, infine, come un prete eroico che ha ben meritato durante la guerra assistendo i feriti e che poi ha deciso di gettare la tonaca alle ortiche per sposarsi, non avendo peraltro mai avuto una grande vocazione al sacerdozio.
Sanpa è forse il personaggio più riuscito del romanzo : la sua dolce follia, la sua personalità multipla e i suoi racconti di vita partigiana (che Dalai ha ricavato da vere storie di combattenti della Resistenza) sono l’elemento più affascinante nel complesso tracciato della scrittura del romanzo.
L’obiettivo che i tre si prefiggono è quello di esibirsi in una sorta di Festival parallelo a quello che si svolge a Sanremo, in parziale contrapposizione ad esso, anche se in forma del tutto amatoriale.
Per raggiungere il necessario affiatamento tra di loro, provano e riprovano in un vecchio capannone trasformato in palestra da una tardona innamorata di Bello e cercano disperatamente di trovare un nome che colpisca l’immaginazione del futuro pubblico della band. Alla fine, dopo lungo dibattere, lo troveranno grazie alla marca di una grappa vista per caso in un bar e sarà molto melodrammaticamente Epica. Meglio di niente – annota Antonio.
Ma gli Epica non sono molto convinti di quello che fanno e che faranno. La loro consistenza e il loro affiatamento si sfalderà ben presto.
Bello sogna di andare a Las Vegas per esibirsi in uno strip maschile insieme alle sue fedeli groupie, Moni e Doni, e due giorni prima del “debutto” sanremese, si eclissa. Anche se per motivi economici contingenti, rinuncia al viaggio negli Stati Uniti, resterà nascosto con Loredana nella palestra-nascondiglio e non si farà più vedere per molto tempo.
Federico / Faith, dopo essere stato per qualche tempo tra le fila di Scientology, decide di andare via di casa, dal nonno e dal padre (un viticultore ottuso) e di fondare una propria setta, la Fratellanza degli Occhi Buoni, la cui unica missione nel mondo è quello di guardare agli altri con benevolenza e amore e rifuggire la cattiveria degli sguardi dovuta essenzialmente al denaro e alla sua potenza.
Il manager JR, dopo aver sposato una nuova moglie, la pornodiva Irina, e contemporaneamente aver divorziato dalla moglie precedente, si è dato alla produzione di film amatoriali e nei giorni di Sanremo preferisce curare la realizzazione di Finocchio, un film gay di cui è anche parzialmente produttore. Vorrebbe coinvolgervi anche Antonio, ma questi rifiuta con nettezza, beccandosi in cambio l’accusa di essere un omofobo (come in precedenza aveva ricevuto l’accusa di essere represso sessualmente e di non sapersi lasciare andare con gli altri).
Abbandonato da tutti, mentre i suoi genitori, divorziati da tempo, vorrebbero convergere su Milano proprio nei giorni della trasferta sanremese, l’uomo trova conforto tra le braccia di una non meglio denominata “ragazza con le trecce” e si concentra sul suo difficile esordio.
A Sanremo, nel Festival alternativo, Flünke sembra in stato di grazia e, soprattutto, gli pare di aver superato il problema delle cadute improvvise e catastrofiche:
«Non sono mai stato forte come ora e non lo sarò mai più. Ballo, senza fatica né timore io sto ballando. Sono così felice e concentrato sull’ebbrezza di ogni passo che ignoro l’allarme lanciato dal severo portavoce del baricentro. Siamo in fase e di equilibrio instabile e basterebbe un nonnulla per provocare una caduta dolorosa e plateale. E’ nel momento più solenne che gli eroi abbandonano l’orizzonte basso dei mediocri e volano in alto. Arriva l’incrocio. Il pubblico della prima fila smette di cantare e spalanca la bocca per lo stupore, i coristi cercano di afferrare un lembo della mia camicia strappata, i due cani in fondo al tendone assaltano uno dei ragazzi in motorino, io perdo contatto con il terreno e … […] cado»[4].
In bilico tra situazioni che ricordano molto Il giovane Holden di Jerome David Salinger (in particolare, la difficoltà a crescere e a diventare qualcosa che sia meglio definito e impegnato esistenzialmente rispetto alla condizione di eterno Peter Pan del presente) o gli adolescenti in difficoltà dei romanzi umoristici di Nick Hornby, il romanzo di Dalai alterna ilarità e ironia sparse a piene mani a momenti di riflessione sul tragico destino della politica italiana e della crisi definitiva della sinistra storica (le riflessioni sullo “scivolone” di D’Alema durante il periodo della Commissione Bicamerale sono emblematiche su questo aspetto) e a scelte esistenziali che pure ricordano i romanzi più significativi di Peter Cameron (Un giorno questo dolore ti sarà utile).
Libro alternato e alternante, Le più strepitose cadute della mia vita è un romanzo dal respiro metaforico e stilisticamente complesso che mantiene sempre alto il proprio ritmo di scrittura.
NOTE
[1] Michele Dalai, Le più strepitose cadute della mia vita, Milano, Mondadori, 2012, pp. 12-13.
[2] La caduta dall’aereo presidenziale di Ford è diventata famosa per la celebre malignità detta da Lyndon Baines Johnson, suo acerrimo rivale: “Ford non è capace di camminare e di masticare una gomma contemporaneamente”. Anche Ford, come il protagonista del romanzo, cadeva di frequente tanto da far dubitare del suo stato di salute.
[3] A Spinks il suo manager ha regalato quello che è forse il più bel racconto mai scritto sulla boxe, A Steak, di Jack London, storia di un pugile che avrebbe potuto vincere il suo ultimo match se avesse avuto le forze sufficienti per farlo e che avrebbe forse avute se avesse mangiato la bistecca che, in quel momento, non poteva permettersi, dato lo stato delle sue finanze. Spinks aveva apprezzato molto il bel racconto di London.
[4] Michele Dalai, Le più strepitose cadute della mia vita cit. , pp. 282-288.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato