Un campo di battaglia. Antonio Ferrero, Classe terminale, Marina di Massa (MS), Edizioni Clandestine, 2011
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di Giuseppe Panella
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Scrivere libri sulla scuola è ormai diventata una delle attività predilette degli insegnanti più validi e meno demotivati tra i tanti (troppi!) che rischiano di diventarlo nel caso il declino e la caduta della scuola pubblica non si arresti e si ritorni a quella qualità di un tempo da tutti nostalgicamente evocata (anche se forse anche all’epoca non erano certo mancati dubbi e lamentazioni sul loro stato mediocre e periclitante). In sostanza, sulla scuola esiste una vera e propria “letteratura di genere” che vanta veri e propri piccoli gioielli (i primi romanzi di Domenico Starnone, ad esempio, prima della sua attuale deriva cinematografico-mainstream) o una robusta quanto ben consolidata mediatà stilistica (Un paradiso triste di Francesco Paolo Tanzj, ad esempio).
Nel caso del libro di Antonio Ferrero, insegnante di Storia, Filosofia e Psicologia nei licei statali e docente di Estetica all’Istituto d’Arte di Cuneo, siamo, però, di fronte a qualcosa di diverso: la narrazione dell’anno scolastico del preside (pardon! dirigente scolastico) Matteo Fortini è, in realtà, una vera e propria “descrizione di una battaglia” (per dirla con il titolo di un famoso frammento narrativo di Kafka). L’ex-insegnante di diritto negli Istituti Professionali, nonostante il suo cognome evochi forza d’animo, coraggio e determinazione, è tutt’altro che un coraggioso e cerca sempre e comunque di evitare il più possibile problemi, conflitti e quelle che si vogliono definire “rogne” per rifugiarsi nella sua attività prediletta: la scrittura di favole per bambini con protagonisti animali dai nomi curiosi, tradizionalmente modellati e divertentemente evocativi.
Durante l’anno scolastico succede di tutto e di più. Cinque insegnanti tra i più bravi e stagionati nell’attività didattica e, di solito, i più solerti nello svolgimento delle attività cosiddette extra-curriculari (le gite “d’istruzione” all’estero – sic ! – gli spettacoli teatrali le uscite per il cinema di mattina, le visite a mostre ecc.) si rifiutano di collaborare al loro espletamento da quell’anno in poi adducendo il (giusto) pretesto della miserabile rimunerazione che lo Stato concede a quelli che dovrebbero esserne la colonne in campo culturale.
Inoltre, uno degli insegnanti più giovani e più volenterosi, Alfio Sommesso (tutti i nomi dei personaggi della storia hanno valore simbolico e sono quasi sempre espressione visibile del loro stato d’animo e della loro condizione esistenziale) si trova in difficoltà con la compilazione della sua programmazione annuale perché, pur avendo elencato con maniacale precisione cosa farà studiare ascoltare leggere ai suoi studenti, si è dimenticato di annotare il passaggio più fondamentale di tutti : quello relativo al Sapere come pre-condizione al Saper Fare e da qui al raggiungimento del Saper Essere (baluardo trionfo e culmine quest’ultimo delle più moderne teorie della pedagogia contemporanea). Entrato in crisi dopo l’ammonimento del Preside (pardon ! dirigente scolastico), risolverà tutto copiando quello del suo più sperimentato collega di Latino, Otello Croce, il quale sa navigare ormai fin troppo bene tra gli scogli della burocrazia scolastica.
Infine, scoppia anche la “guerra di religione”: il baldanzoso e laicista professor Guerrera (nomina sunt numina) di Italiano chiede e ottiene la rimozione di un crocifisso rimasto per sbaglio nella sua aula, suscitando le ire della collega Luciana Massaro di Matematica, fervente cattolica, che chiede che gli orologi, simbolo del tempo terreno, siano rimossi in quanto in opposizione al vero Tempo escatologico della divinità. Inoltre, se Guerrera vuole che venga rispettato il venerdì quale giorno di riposo dei musulmani con la sospensione, sia pure parziale, delle attività scolastiche, la Massaro impone che simile concessione avvenga anche per gli ebrei ortodossi che frequentano la scuola (intitolata – et pour cause – a tale misterioso “Tarcisio Buttafuoco”). Stessa “guerra di religione” si scatenerà per le lezioni di educazione sessuale (in realtà, credo che si chiamino di “socializzazione e affettività”) della professoressa Irene Schiavo che vengono contestate da alcuni genitori perbenisti per la loro eccessiva crudezza e per l’esplicito invito a utilizzare come contraccettivi quelli che vengono chiamati ormai comunemente “preservativi”. Per esorcizzare lo spettro del profilattico proibito dalla Chiesa cattolica, viene invitata a fare delle contro-lezioni una bella ragazza di stretta osservanza cattolica, Elisa Spagnolo, che, con abile retorica gesuitica e apparenti prospezioni scientifiche, sostiene che la migliore forma di controllo delle nascite è il cosiddetto (e famigerato) “metodo Billings” (consistente nella verifica della qualità più o meno fluida del muco vaginale).
Le lezioni della Spagnolo hanno successo, nonostante i polemici interventi di Guerrera che attacca l’intento chiaramente apologetico della giovane esperta in questioni sessuali. Tutto si conclude con una gazzarra generale e con un generale invito alla calma da parte dell’esterrefatto direttore scolastico, ma la non più giovane professoressa Schiavo, depressa e umiliata per la sostituzione coatta che ha dovuto subire, ha almeno la soddisfazione di sentirsi definire “più maiala” della sua rivale “professionale”, carpendo per caso una conversazione tra due studenti che ne stavano esaminando a voce alta i rispetti possibili meriti a livello di performance sessuali.
Infine c’è il doloroso caso del professor Romeo Portinari, sulle soglie della pensione, che esplode proprio quando ormai è sul punto di lasciare definitivamente il mondo della scuola perché un suo progetto di studio e di ricognizione dei problemi di convivenza interrazziale viene deriso pesantemente durante un consiglio di classe che avrebbe dovuto deciderne l’approvazione.
L’iniziativa extracurricolare di Portinari si intitola Progetto per l’Emigrazione Nazionale ed Estera e il suo acrostico P. E. N. E., subito individuato dagli acrimoniosi e beffardi suoi colleghi del collegio docenti, gli fa subire una colossale presa in giro per il suo nome e il possibile fraintendimento cui può andare incontro. Sarà questa la goccia che farà traboccare il vaso e che condurrà il professore ormai maturo per la pensione a scappare alla lettera dalla scuola, non prima di aver affisso – come Martin Lutero alle porte del Duomo di Wittenberg – novantacinque tesi sulla scuola di oggi. Alcune di esse sono davvero rimarchevoli :
«25. Quando studiavo, era scandaloso e alternativo leggere On the Road; quando ho iniziato a insegnare era scandaloso e alternativo leggere Porci con le ali; oggi è scandaloso e alternativo leggere.
26. Il segno evidente che devo andare in pensione è che ormai, la maggior parte dei miei allievi, li do per persi; quando si dimostrano troppo stupidi o superficiali, smetto di credere che la cultura possa in qualche modo migliorarli.
27. Del resto, che speranze si possono riversare su bellimbusti che sostengono che “se Silvia gliela dava a Leopardi mica scriveva roba così depressa?”
28. Quello che mi fa rabbia è che le nuove tecnologie permetterebbero ricerche e approfondimenti così dettagliati e rapidi che le avessimo avute noi, avremmo imparato il triplo. E questi decerebrati le usano solo per messaggini, giochino, amicizie virtuali. Migliaia di amici che non incontrano mai. Una colossale nevrosi collettiva. Tutti soli, nella loro stanzetta, a cercare contatti iperuranici»[1].
Su molte di queste lamentazioni del professor Portinari, indubitabilmente, non si può che convenire. Ma ulteriori problemi comporterà la preparazione del rito finale scolastico per eccellenza, quello che, nonostante abbia cambiato nome, viene chiamato “esame di maturità”. Ma anche questo scoglio sarà, in qualche modo, superato grazie all’elastica indifferenza di Alfonso Corteccia, il facente funzioni di Provveditore (anche se questo è un termine ormai caduto in disuso) che, forte del suo cognome esemplare, esorterà il depresso Fortini a barcamenarsi con qualche piccolo quanto innocuo falso burocratico. Ma anche lui vivrà il suo momento di gloria quando l’entusiasta giornalista free-lance Eraldo Pertinace, nel corso di un’inchiesta sulle scuole del territorio (che nel libro non viene mai nominato esattamente), trattato con gentilezza per l’unica volta in un istituto scolastico mentre negli altri che aveva visitato erano stato trattato con sufficienza e noncuranza, esalterà il “Tarcisio Buttafuoco” come un esempio raro e da imitare di corretta conduzione dei servizi di istruzione pubblica. Così Fortini, diventerà (almeno nella sua provincia) una sorta di eroe meritevole di plauso e di ammirazione, anche agli occhi della ancora single professoressa Luciana Massaro.
Romanzo (o forse è più esatto definirlo giornale di bordo ?), Classe terminale presenta un ritratto impietoso e fin troppo realistico e veritiero della scuola italiana di oggi, delle sue difficoltà di gestione, della sua incapacità a insegnare e a trasformare gli studenti in individui acculturati e pensanti. Ma, alla fine, viene spontaneo un sospetto: quando è cominciato tutto questo, “dati causa e pretesto” alle “attuali conclusioni” (per dirlo con i versi di una celebrata quanto “avvelenata” canzone di Francesco Guccini)? E’ molto probabile che il danno sia stato fatto da molto più tempo di quanto si pensi e che riparare il torto fatto alla scuola italiana non sarà certo un’impresa tanto facile…
NOTE
[1] A. FERRERO, Classe terminale, Marina di Massa (MS), Edizioni Clandestine, 2011, p. 115.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)