La canzone amara della metropoli e la danza della morte senza senso. Marilù Oliva, ¡ Tú la pagaras !, Roma, Elliot, 2010
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di Giuseppe Panella*
«Mi arrivano, dallo stereo dell’automobile, le parole di una salsa che ho cantato allo sfinimento: tú la pagarás tú la pagarás, tú la pagarás en la vida tú la pagarás, mal agradecida. Tu la pagherai. La canzone mia e di Thomás. La canzone senza senso, machista e puritana, che relama una vendetta d’amore per il maschio che è stato abbandonato» (p. 205).
Da questo testo scandito e ritmato come una serie di uno-due da pugile danzante deriva il titolo di questo romanzo noir di Marilù Oliva (un’opera che quest’anno è entrata nella rosa dei cinque libri finali del Premio “Scerbanenco”). Si tratta di un’amara parabola metropolitana in cui personaggi spesso incredibili, tutti imperdonabili, fragili ma duri e resistenti come una statuetta di ceramica di marca, si inseguono e si ricercano nella prospettiva di trovare una verità che risulta difficile da accettare anche se poi si rivelerà l’unica possibile. Thomás Delgado, barista in un locale di salsa di Bologna, impenitente seduttore di donne sempre disponibili per lui e per le quali lui non è mai disponibile, viene trovato assassinato da un’arma sicuramente difficile a trovarsi in ambienti diversi: un candelabro a due punti usato nel culto della santería cubana e destinato al culto degli orishas, le divinità sincretiche che aratterizzano l’innesto della religione cattolica e dei suoi santi nei culti (molto più arcaici e pagani) della tradizione africana dei Yoruba. Chi può averlo ucciso? L’ispettore Basilica della Squadra Mobile indaga in coppia con il suo fedele ispettore Mussito: l’uno taciturno e a disagio negli ambienti colorarti e bizzarri della comunità ispano-americana della metropoli emiliana, l’altro eloquente e informato su tutto (o quasi – ed esperto anche nell’uso di Internet). I sospettati possono essere tanti, soprattutto le donne con cui è andato a letto e poi ha mollato senza un perché. La Guerrera, ad esempio, Elisa Guerra, giornalista precaria che lavora per conto del feroce maschilista Torinelli, direttore di Lacittà, feroce omofobo e accanito persecutore di extracomunitari e comunisti, che la tartassa e le impone ritmi folli dal punto di vista professionale. Appassionata di danze ispanoamericane, ama, nello stesso tempo, le patatine fritte alla paprika e la Divina Commedia di Dante di cui cita continuamente dei versi a commento imperituro delle situazioni che si trova a vivere. La Guerrera è stata la donna di Thomás ma da tempo sapeva di essere tradita con una certa continuità. E’ sempre depressa, si sente una sconfitta anche se la sua coinquilina, Catalina, continua a predirle la possibilità di nuovi amori, traendo l’ispirazione dai tarocchi che legge con severa professionalità. L’indagine sulla morte del barista di La Noche le permette di rilanciarsi come possibile investigatrice e la fa sentire viva e battagliera. Scoprire l’assassino di Thomás diventa un compito per lei ineludibile:
«Mi sento gli occhi addosso. La gente scruta attraverso la penombra. Sono sotto osservazione: vogliono vedere se stanotte La Guerrera se ne starà zitta e triste in un cantuccio o se ballerà con chi vorrà chiederglielo. La prova del nove, il termometro del mio lutto. Questa è mi gente. Un popolo variegato, curioso, bolognese, misto, mezzosangue o purissimo, ispanoamericano, nasi andini e profili di Cuzco quasi intagliati nella roccia, occhi rilucenti come tesori caribeñi, gambe che ballano tatuate dalle nervature, polpacci in tiro, una cicciona romagnola sul divanetto, i portoricani leggermente più scuri, qualche elemento afro con guizzi di ciocche rasta. El pueblo de la salsa, il popolo della salsa. In parte volgare, in parte genuino, appassionato, molto esibizionista. Alcuni elementi affetti da megalomania stridente, col ritmo nel sangue anche quando scorre acqua nelle vene. E la fetta buona di una mela marcia in disparte. Ad ascoltare, a ballare per gioia. A tornare qui, nonostante tutto» (p. 34).
La passione della Guerrera per la salsa è evidente. Le piace ballare, le piace confondersi con gli altri ballerini/e, le piace provare le sensazioni forti di un appagamento corporeo che diventa poi, passandovi quasi impercettibilmente, un gioco della mente alle prese con i problemi della vita e, in questo caso, della morte inflitta in modo brutale, inflessibile. Perché dopo Thomás c’è un altro cadavere ad aggiungersi alla lista: Azúk, il barista che si è definito, parlando con l’ispettore Basilica, hermanito, il “fratellino” di Thomás, viene trovato ucciso e non da pochi giorni. Anche per lui il rapporto con la santería sembra evidente visto che in bocca gli vengono trovate le perline rosse e nere di Elegguá, l’orisha che difende la casa e rappresenta il destino, un dio di prima grandezza nel pantheon delle divinità cubane. La pèista ispanoamericana prende sempre più consistenza. Elisa segue e spia la Princesa, una donna bellissima che è la compagna del Cubano, il gestore falso-latinoamericano di La Noche (è in realtà un pugliese molto scuro di Bari). Ma il loro è un rapporto fasullo perché il Cubano va a letto con altre donne (tra cui la Gorda, la grassa Laura di Rimini con cui ha una relazione basata sul puro sesso alla chiusura del locale) e Princesa usa le sue guardie del corpi, i suoi cuginetti Lomo e Tomo che sono poi due gemelli cerebrolesi, per giochi torridi ad alta densità erotica. Elisa segue la donna in un noto locale di fitness bolognese, le Terme Blu, dove la donna si reca con i suoi giocattoli viventi. Insieme alla Guerrera, però, c’è anche Basilica ed entrambi si intrufolano nel locale esclusivo e ben difeso dalle intrusioni esterne in maniera piuttosto rocambolesca, attraverso una griglia del sistema di aerazione. Ma, oltre la Princesa, i possibili colpevoli sono molti: Manuela che gestisce il locale e che, a sua volta, ha avuto una relazione con il barista fedifrago, sua figlia Elisa (cui non è permesso di chiamarla mamma per evitare che venga considerata ormai vecchia) e altri frequentatori sudamericani del locale come il disc jockey peruviano El Pony che cercherà di punire Elisa sfregiandola con un coltello perché ha parlato un po’ troppo con la polizia e ha rivelato troppe cose sul mondo sotterraneo al quale tutti loro appartengono. Elisa riuscirà a sfuggire all’attacco di El Pony e dei due gemellini Lomo e Tomo grazie alle sue competenze in fatto di arti marziali, utilizzando delle mosse apprese quando imparava la capoeira proprio perché il suo rapporto con la musica e l’armonia dei movimenti le davano l’impressione di danzare piuttosto che combattere. Elisa sopravvive allo scontro e sopravvive anche alla visione del proprio datore di lavoro Torinelli che si concede un rapporto omoerotico su base sadomasochistica con Giovanni, il sempre bistrattato grafico del giornale. I due vorrebbero liberarsi di lei soffocandola con un sacchetto di plastica ma l’arrivo di Basilica che cercava la donna la salva e incastra i due immondi individui che, peraltro, filmavano i loro rapporti sessuali. La registrazione di tutto quanto è avvenuto permetterà di condannarli per tentato omicidio (e di accusare Torinelli anche della morte per strangolamento di un precedente grafico, ucciso in circostanze rimaste fino ad allora misteriose). Ma, a prescindere dalla soluzione del mistero per il quale la colpevolezza dell’assassina rimarrà difficile da dimostrare con l’evidenza piena delle prove, Elisa scopre di avere un futuro come giornalista investigativa (e Basilica la manderà da un suo amico che lavora alla redazione bolognese di Repubblica per una possibile assunzione). Il romanzo, quindi, si chiude con una possibile luce di speranza dove la musica crea una possibile forma di armonia con il mondo che sembrava essere preclusa a chi vi si trovava bloccata e senza possibilità di uscirne con una nuova chance di vittoria, perché per la Guerrera è la danza la chiave di quell’armonia:
«La salsa è la dimostrazione che la felicità non esiste, a meno che non si guardi nel binocolo. Ma solo per qualche secondo. Poi è la clave, cinque colpi. E la musica. Quella musica che racchiude un segreto così accessibile eppure così trascurato, là dove nella pausa oscura del ciclo clavico si nasconde, concentrato come un buco nero e chiarissimo come una supernova, il mistero del ritmo dell’universo. Quel po’ di bene che l’uomo è riuscito a serbare, traducendolo in note» (p. 198).
Romanzo coloratissimo e ricco di felici suggestioni narrative, tutto pieno di personaggi inconsueti e spinti da motivazioni solo apparentemente misteriose, ¡ Tú la pagaras ! conferma la felicità della vena narrativa di Marilù Oliva e la sua devozione a un genere, il noir, troppo facilmente strumentalizzabile in chiave socio-politica tanto da farne dimenticare il genuino desiderio di raccontare e di mettersi in gioco che ne dovrebbe sovraintendere il destino a venire. Come il ballo descritto più volte nel romanzo, la scrittura del romanzo è leggera e sensuosa e sembra volteggiare tra le sue vicende angosciose e spietate senza indulgere e senza infierire: a ritmo di danza, appunto.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)