Dall’interno del corpo. Stefano Vincieri, Dietro le quinte, presentazione di Valerio Nardoni, Firenze, Passigli, 2013
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di Giuseppe Panella
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Scrive Valerio Nardoni nella sua accorta Presentazione di questa quarta raccolta di Vincieri[1] che:
«In questo suo ultimo libro Stefano Vincieri, da dietro le quinte, assiste al crollo del corpo nel tempo e quello della parola nel silenzio, leggendo questo doppio movimento come un’unica danza verso il nulla, da cui è necessario risollevarsi. Come una ballerina che avesse inciampato durante uno spettacolo e dovesse ripartire sotto gli occhi di tutti, la caduta del poeta è il suo ritrovarsi in un insopportabile silenzio, con l’adrenalina dei sensi che si risvegliano e protestano tutti insieme»[2].
Osservare contemplare capire accettare: sono quattro dei movimenti che prendono corpo nella riflessione lirica del poeta padovano e che la sostengono nel suo tentativo di ricostruzione della potenza perduta della sua capacità lirica di indagine sulla realtà.
Il suo luogo di osservazione e di ascolto è quella che viene definita una camera anecoica:
«Uno sguardo senza parole / scorre i profili del corpo / ove tutto è mutato. / Ed è carne vera ciò che vede, / che ancora sussulta / e con forza si ribella / a questa assenza che divora»[3].
L’attesa accende la necessità di parlare e di superare la soglia del silenzio, di andare oltre l’oscura caligine e il vuoto in cui le parole non fanno più rilucere alcuna fiammella né suscitano alcuna eco:
«Anche il frastuono, / le troppe voci o stimoli / che si accalcano alla testa / esplodono al silenzio. / Ed impietrito / l’uomo si accorge del suo nulla»[4].
Il poeta, dunque, nell’ottica del silenzio in cui intende confinarlo Vincieri, vive una condizione di isolamento che può essere rotta soltanto dalla capacità di portare il corpo a livello di espressione: è la danza che irrompe come movimento generale della vita.
«Il gesto / apre e chiude, ritmico. / Un polmone che respira, / una traccia di suono / e l’intreccio nella gola»[5].
La poesia di Vincieri è molto rapida, tutta costruita su mosse e gesti rotti furtivi felpati e spesso inesprimibili per la sua fulmineità, il guizzo che li porge al lettore.
Lo stesso stile si raddensa in movimenti brevi e come attratti, in attesa di un’esplosione generale che però non arriva o arriva solo in ritardo, verso la fine.
Aperta da una frase della celebre danzatrice-coreografa Pina Bausch rivolta ai suoi ballerini (Dimenticate tutto quello che conoscete della danza e aprite bene gli occhi, le orecchie e gli altri sensi), la seconda sezione del libro si sofferma sulla natura ossessiva e divorante della danza:
«Via. Me ne vado. / Spezzo l’incantesimo, / rompo l’agro guscio / e mi divoro. / Un balzo, solo un balzo»[6]
e poi la metafora si divarica, si riveste di senso, ostenta la propria parentela diretta con la scrittura poetica:
«Un sudore di vena / e inchiostro alla scrittura. / Tra acque e diagonali urbane, / si divarica la danza»[7].
In Vincieri, di conseguenza, dal silenzio della sua “stanza enorme” (per dirla con e. e. cummings) si passa alla violenta concitazione dei gesti e si finisce per mescolarli e agitarli con il fluido torrenziale della poesia, trasformando i movimenti in parole e in forme della lingua.
La musica che coinvolge la dimensione fisica e attiva della vita, i tratti della danza che smuovono le emozioni, il suono che trionfa nel momento in cui si eccitano i movimenti del corpo stabiliscono un nuovo legame con la poesia che non è più registrazione dell’assenza ma si fa presenza della parola come capacità di ricordo e di mediazione con il passato:
«Croci di corpi, / isteriche declinazioni. / Ossessivi gemiti. / Nei passi, l’idea di una memoria»[8].
E’ la terza parte del poemetto di Vincieri, intitolata Répétition alle 11, dove l’idea della prova musicale si innesta in quella della ripresa della scrittura della poesia.
E’ un movimento brusco, quasi brutale, dove il corpo si riprende ciò che il silenzio gli aveva tolto :
«Un vortice / rima i lembi dello spazio, / fuga di pelle / tra onde e bolle d’aria / e sguardi ciechi. / Versa il sudore / a un corpo linguaggio, / senza suoni»[9].
E così che il mondo ritorna a vivere, certo non con “una lagna” ma stavolta “con uno schianto” (per rovesciare la conclusione di una celebre poesia di T. S. Eliot, Gli uomini vuoti):
«Che mi porti via / questo cuore di muscoli e sangue, / questo labirinto di arti. / Che mi faccia correre, / veloce come il sudore / fino a esplodere nell’aria»[10].
Tutto ritorna a scandire il ritmo di un tempo, le parole a ricomporre il loro gioco di frasi e di emozioni, i gesti a ristrutturare le movenze del corpo, i sogni a rimettere in moto il meccanismo di risarcimento dal dolore. Quello che era accaduto nel primo movimento del poemetto :
«Il dolore non produce suoni, / li imita in silenzio. / Spaventose immagini, / muti boati e corpi spezzati. / E’ una tragedia senza rumore»[11].
si ritrova nell’ultimo di essi riconnesso e ricomposto nella danza eterna – dal minimo dell’inizio si approda al massimo della potenza, in progressione :
«C’è qualcosa che si rompe / e si frantuma. / Come l’amore. / pezzi scagliati al cielo, / a volare»[12].
Così come l’amore vola così la poesia : a formulare domande, non a cercare risposte.
NOTE
[1] Precedentemente Vincieri aveva già pubblicato L’immagine silente, presentazione di Antonio Salvatori, Forlì, Forum / Quinta generazione, 1982, La semina del sonno, Venezia, Edizioni del Leone, 1985 e L’eco o la spada (presentazione di Paolo Ruffilli), Firenze, Passigli, 2001: una produzione – come si può vedere – intensa ma gestita con saggia e robusta parsimoniosità.
[2] Questa citazione proviene dalla prima bandella di copertina del libro.
[3] S. VINCIERI, Dietro le quinte, presentazione di Valerio Nardoni, Firenze, Passigli, 2013, p. 17.
[4] S. VINCIERI, Dietro le quinte cit. , p. 20.
[5] S. VINCIERI, Dietro le quinte cit. , p. 41.
[6] S. VINCIERI, Dietro le quinte cit. , p. 42. E nella pagina precedente aveva scritto : “Acqua sulla schiena / e poi in bilico, / in fretta / a deragliare note, urla”.
[7] S. VINCIERI, Dietro le quinte cit. , p. 49.
[8] S. VINCIERI, Dietro le quinte cit. , p. 66.
[9] S. VINCIERI, Dietro le quinte cit. , p. 72.
[10] S. VINCIERI, Dietro le quinte cit. , p. 78.
[11] S. VINCIERI, Dietro le quinte cit. , p. 13.
[12] S. VINCIERI, Dietro le quinte cit. , p. 65.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)