L’assassinio come una delle belle arti. Mauro Baldrati, Professional Killer, Villorba (Treviso), Edizioni Anordest, 2013
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di Giuseppe Panella
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Il Maestro Wu ha alle spalle un passato di sangue e di morte. Prima di rifugiarsi ad Amburgo presso una confraternita di monaci adepti alla nobile e sacra arte marziale del kung-fu, è stato Lo Specialista, forse il miglior killer a pagamento del mondo, un uomo freddo e senza emozioni capace di organizzare e di portare a termine l’eliminazione di bersagli ben difesi e protetti da parte delle loro organizzazioni criminali senza particolari problemi di logistica e senza alcun impedimento moralistico. La sua vita è un susseguirsi di missioni brillantemente portate a termine, intervallate da intermezzi erotici senza coinvolgimenti sentimentali (o forse sì – quello con Jeanne Marie, la ragazza madre che vive con suo figlio in un barcone sulla Senna e con la quale la relazione acquista toni di tenerezza insospettabili per un individuo così spietato).
Ma sostenere che Lo Specialista è spietato non è esatto: è indifferente alle vite umane che deve terminare e l’uccisione dei suoi bersagli ha per lui solo il carattere di un’attività ben pagata per la quale occorre prepararsi bene e alla quale attribuire solo la giusta importanza, dimenticandosene poi al momento in cui se ne intraprende un’altra e la vittima cambia (Nick Lorenzoni detto Il Barracuda, Luciano Caridda, Anna Ivanova Kirova, El Perro sono soltanto nomi e non hanno per lui alcun interesse specifico se non per le difficoltà che potrà creargli il doverle eliminare nei determinati modi richiesti dal committente). L’uomo uccide senza odio ma dopo una lunga e accuratissima preparazione psicofisica che richiede un allenamento continuo, una conoscenza attenta e approfondita delle arti marziali, una gestione tecnicamente raffinata delle armi a sua disposizione da usare, una delle quali è certamente lui stesso).
Anche Eve, la donna con cui occasionalmente va a letto e che fa il suo stesso mestiere di killer a pagamento, sa che il coinvolgimento emotivo può essere micidiale per un vero professionista e non prova neppure (se non in momenti occasionali di abbandono) a chiedere all’uomo qualcosa di più di un rapporto sessuale appassionato e condotto a termine in maniera soddisfacente per entrambi.
Ma, a un certo punto, qualcosa cambia: non solo il rifugio dello Specialista, situato all’estrema periferia di Parigi in una zona costellata di capannoni abbandonati e intervallati da terrains vagues e attrezzato per resistere a lungo nella solitudine quasi ascetica in cui egli vive rischia di essere invaso da nuovi insediamenti industriali al posto di quelli fatiscenti che lo popolano, ma Eve, di cui in qualche modo si fida, cerca di ucciderlo. Per evitare di essere abbattuto, Lo Specialista sarà costretto a ucciderla e a fuggire. Che cosa è cambiato e perché su di lui è stato emesso un “contratto” ? Pochi giorni prima, l’uomo aveva deciso di ritirarsi dall’attività ed era andato a Tunisi, dal suo intermediario, il buffo dottor Mustafà (già presente in altri testi narrativi di Baldrati) a rivelargli questa sua intenzione. Non era affiorato nessun risentimento né l’arabo gli aveva fatto nessuna difficoltà al riguardo. Lo Specialista ritorna a Tunisi, sottopone Mustafà a un interrogatorio violento e serrato e apprende la verità: su di lui c’è una fatwa (che – come è noto – è una condanna a morte senza possibilità di scadenza) e, quindi, prima o poi, qualcuno riuscirà a mettere fine alla sua esistenza. Lo Specialista sa qualcosa che può incastrare e consegnare alla giustizia il senatore Kenneth Mosley che è a capo dell’organizzazione di cui Mustafà è parte dirigente e da cui il killer veniva periodicamente reclutato e pagato per compiere le sue missioni. Di conseguenza, è stato condannato a morte. Dopo aver messo fine alla vita dello sfortunato intermediario, Lo Specialista si rifugia in una delle sue case protette, a Zurigo, ma viene raggiunto anche lì. Decide di chiedere aiuto a Devadip, un suo collaboratore occasionale esperto in arti marziali che è a Tokyo per un corso di specializzazione ma viene catturato dalla Yakuza, la terribile e spietata mafia giapponese (il cui codice di comportamento è di solito connotato da un codice d’onore inflessibile e senza attenuanti e conosciuto in Occidente solo attraverso la trasposizione sugli schermi cinematografici fattane da registi come Sydney Pollack o Takeshi Kitano). Superata la terribile prova di uno scontro all’ultimo sangue con il campione locale di karate Tenzo, Lo Specialista ottiene un giorno di tregua prima che la caccia continui. Mentre cerca un possibile scampo in una città che non conosce, incontra Shifu Shi-Yan-Chan, maestro dello Shaolin Temple di Amburgo, che è stato attaccato da alcuni sicari della Yakuza che volevano vendicarsi di un rifiuto opposto dal maestro alla loro richiesta di addestrare i loro uomini negli scontri clandestini per scommessa che si tenevano in diverse città orientali. Dopo averlo salvato da morte sicura, lo accompagna in una casa di devoti alla loro disciplina per permettergli di curarsi da un colpo ricevuto e che si è rivelato piuttosto grave.
Quando Chan guarisce, Lo Specialista lo accompagna ad Amburgo e si trasforma in Maestro Wu la cui abilità nel kung-fu si rivela fin da subito inquietante. Diventato monaco e maestro in poche settimane, nonostante l’incredulità, la probabile invidia e la meraviglia degli altri adepti alla setta, Wu nasconde un segreto che riguarda la propria identità. Per scoprirlo dovrà fare un viaggio onirico e molto doloroso nel tempo e tornare a vivere nell’epoca in cui la disciplina religiosa e marziale, allo stesso modo, del kung-fu nacque e si affermò ad opera del Maestro Bodhidharma, l’erede del maestro Prajñātāra, operante n Cina tra il 483 e il 540.
In questo modo, il segreto di Wu sarà svelata ed egli forse potrà ricominciare una nuova vita.
Riassunta in questo modo, la storia narrata da Baldrati non sembra discostarsi troppo da altre storie già viste al cinema (il filone delle “arti marziali” che imperversò anche in Italia negli anni Settanta e che è sempre stato molto popolare nella cultura orientale di cui è parte integrante) o letto nelle pubblicazioni seriali che anche nelle edicole italiane un tempo furoreggiavano (penso a un periodico come “Segretissimo” nato sull’onda del successo di Licenza di uccidere e dei romanzi del grande Jan Fleming con protagonista James Bond e che oggi, tuttavia, appare certamente un po’ meno popolare e certo più appannato di allora). Ma non è certamente così.
Anche se indubbiamente nel romanzo non vengono lesinati gli stereotipi della narrativa di genere che, peraltro, Baldratri padroneggia e utilizza con grande abilità e notevole maestria, in questa sua opera (come nella precedente opera di fantapolitica La città nera[1]) non si ritrovano soltanto un ottimo congegno narrativo e un interessante tentativo di narrativa di intrattenimento.
Se Alan D. (Sergio) Altieri ha ragione di scrivere nella sua Prefazione al libro che:
«Con Professional Killer, formidabile thriller letterario destinato a diventare un classico, Mauro Baldrati sposta l’archetipo del killer di professione a tutt’altro livello di scontro, scaraventandolo dritto nel campo minato della metafisica. Ma non commettiamo errori, siamo sempre qui & ora. Siamo sempre in questo nostro luogo maledetto dove “nulla esiste, ma tutto è permesso”. Forse, dove esiste perfino la resurrezione»[2].
è anche vero che in esso non c’è l’apocalisse dell’Occidente (nella cui descrizione letteraria Altieri indubbiamente eccelle[3]) quanto una sorta di catabasi del soggetto in vista di una sua personale redenzione privata. Il mondo non va a pezzi (come in tanta letteratura postmoderna), anzi è solido e ben deciso a non cessare la propria attività. E’ il protagonista della vicenda a mutare profondamente se stesso attraverso le vicende di cui è parte attiva e fondamentale.
Nonostante gli archetipi narrativi utilizzati, allora, c’è un notevole scavo psicologico all’interno della sua costruzione romanzesca: Lo Specialista da “uomo senza qualità” dedito all’omicidio su commissione si scopre pervaso da una spiritualità alta e notevolmente dispiegata nel corso delle sue drammatiche vicende e acquista uno status di sapienzialità che lo rende non solo capace di inserirsi come monaco in una grande comunità mistica ma di diventarne un maestro di antica tradizione.
La sua crescita è impressionante ed è il frutto della sua capacità di confrontarsi con la sua vita anteriore e con gli sviluppi che essa ha avuto. Lo Specialista ha una profondità interiore di cui stenta a rendersi conto e che solo la drammaticità della sua situazione è capace di far emergere e rivelare.
Nello stile solo apparentemente asettico e piano di Baldrati, nella sua scrittura nervosa, a scatti e a “balzi di tigre” senza concessioni liriche al “bello scrivere” si nasconde, allora, una ricchezza inconsueta per un romanzo che solo in apparenza sembrerebbe dover essere confinato nel recinto del genere.
NOTE
[1] Cfr. M. BALDRATI, La città nera, Bologna, Perdisa Pop, 2010. Ho recensito questo bel romanzo dell’autore bolognese all’epoca in cui uscì sui blog Retroguardia e La poesia e lo spirito e a quel mio vecchio testo rimando i lettori per eventuali approfondimenti.
[2] A. D. ALTIERI, Prefazione a M. BALDRATI, Professional killer, Villorba (Treviso), Edizioni Anordest, 2013, p. 6.
[3] A questo proposito, cfr. la mia voce Apocalisse in Guida alla letteratura di fantascienza, a cura di C. Bordoni, Bologna, Odoya, 2013, pp. 74-92.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)
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