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I LIBRI DEGLI ALTRI n.83: Malinconia autunnale. Diego Baldassarre, “L’acqua sogna trasparenze”

Creato il 03 giugno 2014 da Retroguardia

Diego Baldassarre, L’acqua sogna trasparenzeMalinconia autunnale. Diego Baldassarre, L’acqua sogna trasparenze, Roma, Ilmiolibro Edizioni, 2013

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di Giuseppe Panella

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Una calma, direi quasi cauta, malinconia soffonde le pagine poetiche di Diego Baldassarre. Nella sua tenue plaquette che esorta alla trasparenza delle acque (eco pallida ma stilisticamente sostenuta delle “chiare, fresche e dolci acque” di petrarchesca memoria e condizione), il poeta romano trapiantato sulle colline di Pistoia si diffonde nell’enunciazione di sentimenti semplici e diffusi eppure non comuni e non scontati nel dirli. Il più marcato è l’amore – per la sua donna, certamente, e questo si spiega proprio a partire da quella dimensione petrarchesca di cui si diceva sopra, ma anche (e in maniera forse più forte e diffusa) per la bambina nata da quell’amore cui sono dedicate le liriche più emozionate e vibranti del mannello poetico che costituisce il libro.

Come l’acqua cui affida il suo dettato poetico, anche la sua vita sogna la trasparenza assoluta del sogno e della felicità, del momento magico in cui la vita si colora del suo significato reale:

 

«L’acqua sogna trasparenze. Cadenzati passi di pioggia / discendono la grondaia; pensieri seguono l’andatura. // Le ortensie, le tue preferite, / tendono le foglie avide ; / hanno sete di vivere. // Un verde tenero dalle colline / irradia parole non scritte ; / sono aeree poesie sospese. // L’acqua sogna trasparenze; / e non si cura di noi due / prigionieri delle sue ombre»[1].

 

Si tratta di un testo di forte intensità e vigore espressivo ma di non facile apertura ermeneutica.

L’acqua, simbolo inesausto e continuo di vita, si palesa come pioggia che scroscia dall’alto delle grondaie e alimenta così il ritmo vivente della poesia. Non c’è bisogno di rappresentarla perché le parole che la realizzano, la costituiscono e la manifestano sono già inscritte nel ciclo vitale dell’acqua che cade[2]. Si può solo descriverla, infatti, negli eventi che dal suo agire (dal suo essere, in realtà) convergono nel sogno della felicità che essa comporta come sostanza dell’esistenza umana. La poesia, allora, non è legata soltanto alla volontà o al desiderio di chi la scrive o a chi la ritrova nella sua mente ma è il frutto della richiesta che gli elementi che circondano chi raccoglie la loro chiamata sono in grado di mostrare con la loro presenza muta ma forte e chiara nella sua aspirazione alla visibilità espressiva che li caratterizza. E’ l’acqua (in questo caso) a chiedere di diventare parola poetica per poter continuare a mostrare il suo volto di simbolo della vita e della sua continuità. Le gocce d’acqua che le colline verdi intorno grondano con enfasi e tenerezza e passione diventano poesia con il loro solo mostrarsi felici di essere tali.

Lo stesso tipo di metafora emerge in altre poesie di Baldassarre legate alla dimensione della Natura come porto salvifico sia per il pensiero che per la poesia, come punto di riferimento, quindi, per la trasformazione in versi di tutti i numerosi, contraddittori e sconvolgenti messaggi che arrivano dal profondo al poeta che sia là, posto dalla sua sensibilità in grado di afferrarli e di comprenderli:

 

«Ossimoro vitale. Scaglie di rugiada, / prigioniero nella ragnatela, / riflettono il volto ispido / del primo mattino. // Dai sotterranei del pensiero / un frastuono di telaio / tesse parole sfilacciate. / Non so se avrò poesie. // Dovrei conteggiare sillabe, / incastonare assonanze, / tracciare la piccola gabbia / dove recludere l’anima. // La nebbia che risale dal torrente / mi offusca lo sguardo. / La realtà del sogno / è un ossimoro per me vitale»[3].

La poesia, di conseguenza, non può essere ricondotta semplicemente alla pratica della sua scrittura (sia pure raffinata tecnicamente e culturalmente e abile nella gestione delle sue parti costitutive) – deve prima essere capace di diventare sogno e confrontarsi con la dimensione della realtà e fonderle entrambe nella loro sintesi di parole e di immagini, di suoni e di emozioni, di proiezioni in avanti e di salti all’indietro nella memoria. La poesia – secondo Baldassarre – non è altro che la capacità di ritrovare nella natura esteriore il nesso che la lega e la stringe al mondo interiore del suo autore e riuscire ad esporlo in maniera conseguente e capace di produrre comunicazione nei confronti del suo fruitore incuriosito e non rancoroso. Aperto al mondo, il poeta deve, quindi, essere capace di aprire a sua volta “le porte della percezione” (Aldous Huxley) della realtà a chi è capace di accettarne l’insegnamento e la prospettiva esistenziale e gnoseologica. Questo perché la poesia si pone sempre su un orizzonte conoscitivo, anche quando, apparentemente, sembrerebbe rifuggirne per ritrarsi all’interno di se stesso e del proprio hortus conclusus interiore.

Come la poesia, anche il poeta, allora, è un ossimoro[4] che, lungi dal bloccarlo o dall’ostacolarlo, gli permette di vivere fino in fondo la sua esperienza, di trovare una propria ragion d’essere.

Come con la poesia, quindi, si è in presenza di una dimensione vitale che fa esistere chi la realizza concretamente in modo tale da assumersi la responsabilità di ciò che vede e di ciò che sente, di ciò che ama e di ciò che assorbe, allo stesso modo in cui un prato assorbe l’acqua della pioggia che ricade su di lui o un fiume si distende, come un lungo serpente acquatico, tra le sue sponde, impedendo alla propria tentazione a tracimare di prorompere e di schiantare i proprio argini indifesi.

Il “telaio” che lavora all’interno dell’animo del poeta produce continuamente voci e suoni e significanti che bisognerà poi trasformare in senso e significato perché la poesia possa emergere e fiorire, luccicando nel primo sole dell’alba e riflettendo sul proprio volto il piacere di vivere.

La conferma di questa vocazione di Baldassarre può essere ritrovata in un testo centrale nel suo libretto di versi che conferma la vocazione di ricerca di salvezza presente nella sua poetica:

 

«L’uomo nascosto che tutto osserva. Ho la testa ricolma di poesie, / e mie sono queste scarne parole / arenate su molti fogli ignoti; / miei i tuoi occhi enigmatici / e le splendide rosse labbra parlanti. // Il mare consuma le candide spiagge / rubando tutti i granelli sfuggiti / alla clessidra dell’esistenza. / La nostra bambina intanto immerge / i piccoli piedi incerti, nel mondo. // Incedo sull’acqua intorbidita / e non affondo; / io sono il relitto / di un’idea ormai sfatta dal tempo, / l’eco di un vagito invecchiato; / l’uomo nascosto che tutto osserva»[5].

 

E’ certamente questa una delle metafore più riuscite di tutto il procedimento descrittivo-lirico di Baldassarre. Osservare, diventare un occhio che guarda il mondo nel suo farsi, magari con lo stesso sguardo ingenuo e affascinato dalla verginità dell’esistenza della bambina che nel mondo “immerge” i piedini ancora incerti, eppure volenterosi e avventurosi.

La partecipazione attiva del poeta non è importante – lo è la sua visione del mondo come sfera del conoscibile. Chi scrive è come una sorta di “relitto”, uno sguardo invecchiato nel tempo, usurato dall’eccessiva reiterazione nell’atto di vedere, stanco e ossessionato dall’eterno ritorno dello stesso che non è mai uguale ma stancamente e spesso si ripete per mancanza di alternative.

In questo “cuore antico”[6] che si confronta e che accoglie all’interno della sua descrizione lirica del presente e in cui confluiscono tutti i “detriti” della vita che il passato inevitabilmente convoglia verso la foce dell’oblio, la poesia di Baldassarre trova una sua provvisoria verità di intenti e di desideri: chi scrive è “un rigattiere dell’anima” (splendida definizione forse assunta da un celebre verso di William Butler Yeats) e ciò che raccoglie e ramazza al suo interno sono frantumi di vita e “schegge di sole”. La loro salvezza è il frutto umile e maturo di una pratica di scrittura che riesce, con il suo canto sommesso e la sua dolce melodia fatta di tenerezza e di conforto, a molcire il dolore del distacco da ciò che è destinato certo a perire e a scomparire nell’oblio del tempo ma che forse l’incanto di una parola piena e capace di risplendere del sole primaverile della vita potrà contribuire a mantenere, forse ancora per poco, all’interno del ricordo.

Come si ritrova nel titolo di un suo testo, “gli amanti non hanno scadenze” – lo stesso si può sempre dire di chi non è soltanto un mero poeta d’occasione.

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 NOTE

 

[1] D. BALDASSARRE, L’acqua sogna trasparenze, Roma, Ilmiolibro Edizioni, 2013, p. 55.

 

[2] In questo contesto simbolico chiarisce e conferma la natura archetipica dell’acqua il libro di A. CARSON, Antropologia dell’acqua, trad. it. di A. Anedda, E. Biagini ed E. Tandello, Roma, Donzelli, 2010. Su questo libro e soprattutto sull’interpretazione della poesia sull’ e dell’acqua, mi permetto di rimandare al mio “Il suono dell’acqua nella borraccia sulla schiena”, in “Testimonianze”, (LIV), nn. 478-479 (numero dedicato a Il grande tema dell’acqua), luglio-ottobre 2011, pp. 103-108.

[3] D. BALDASSARRE, L’acqua sogna trasparenze cit. , p. 4.

 

[4] “Nella figura retorica chiamata ossimoro, si applica ad una parola un aggettivo che sembra contraddirla; così gli gnostici parlavano di una luce oscura; gli alchimisti di un sole nero”, ha scritto, con la consueta forza e precisione espressione, proprio Jorge Luis Borges. Sull’ossimoro e la sua differenza con la metafora e il paradosso, cfr. l’importante sistematizzazione di B. MORTARA GARAVELLI, Manuale di retorica, Milano, Bompiani, 19972, pp. 243-245 e passim).

[5] D. BALDASSARRE, L’acqua sogna trasparenze cit. , p. 13.

 

[6] D. BALDASSARRE, L’acqua sogna trasparenze cit. , p. 30.

 

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[Leggi tutti gli articoli di Giuseppe Panella pubblicati su Retroguardia 2.0]

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

 

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