Cinque giornalisti su dieci, quattro cameraman, due dipendenti della produzione, un tecnico e un amministrativo. L’emittente televisiva cagliaritana Sardegna 1 ha deciso di licenziare 13 lavoratori, esattamente la metà dei suoi dipendenti complessivi. Dopo le tante proteste dei dipendenti in mobilitazione permanente da più di quattro mesi, che in questi mesi hanno cercato di difendere con i denti il loro posto di lavoro, oggi è prepotentemente entrata in scena l’azienda.
Dopo aver cercato di tamponare goffamente la protesta dei giornalisti mandando in onda un telegiornale in forma ridotta durante i giorni di sciopero proclamati dai sindacati, Sardegna 1 ha annunciato oggi una “radicale e dolorosa fase di ristrutturazione organizzativa”. Un modo elegante per preannunciare le lettere di licenziamento collettivo inviate a tredici dipendenti dall’azienda che lunedì prossimo avvierà ufficialmente le procedure per la messa in mobilità.
Chi lede l’immagine di Sardegna 1?
Sardegna 1 risponde così alla lunga protesta dei lavoratori che con i loro sit-in, i loro Tg per la strada e al mercato di San Benedetto e le loro irruzioni nelle redazioni e nelle pubbliche manifestazioni (ultima quella sul palco del Teatro lirico al concerto di Massimo Ranieri) hanno acceso i riflettori sulla misteriosa cessione dell’emittente televisiva per soli 4mila euro incassando l’unanime solidarietà dell’opinione pubblica. Proprio questa solidarietà, questo affetto e questa simpatia sembrano avere urtato l’azienda che, nel comunicato diramato questa mattina – dopo aver cercato di rassicurare gli investitori sulla sua solidità nonostante non abbia la liquidità necessaria per pagare sei mensilità arretrate a dei lavoratori che per due anni hanno rinunciato al 33% dello stipendio e nonostante contributi e quote Tfr non versati – punta il dito contro la protesta dei lavoratori. La preoccupazione dell’azienda Sardegna 1 è infatti quella di “evitare un prosieguo di distorsione e strumentalizzazione mediatica in merito allo stato di difficoltà dell’azienda”. Sardegna 1 denuncia infatti “una precisa campagna di svilimento dell’immagine di un’impresa di comunicazione che vive di immagine” e accusa i lavoratori di aver spettacolarizzato la vertenza nonostante il tentativo del Prefetto di Cagliari di aprire un tavolo di concertazione.Ma se Sardegna 1 denuncia questa imponente campagna di comunicazione contro la sua immagine perpetrata da alcuni dipendenti che disperatamente lottano per il loro lavoro, tace invece sulla sciagurata scelta di continuare a fare un telegiornale ridotto nelle giornate di sciopero. L’esperienza insegna di tanti editori, anche di prestigiose testate, che cercano continuamente di dimostrare che giornali e televisione si possono fare tranquillamente anche a ranghi ridotti. Ma con quale risultato? Una domanda a questo punto è d’obbligo: chi sta veramente rovinando l’immagine di Sardegna 1, storica emittente televisiva cagliaritana che ha contribuito in questi anni a salvaguardare la pluralità dell’informazione in Sardegna? I lavoratori che stanno protestando per difendere la loro dignità e la loro professionalità e che hanno dimostrato di sapersi sacrificare per la loro azienda accettando due anni di contratto di solidarietà oppure un’azienda che confeziona un prodotto triste e comunque di qualità nettamente inferiore al normale nei giorni di sciopero?Ovviamente la speranza è che prevalgano il dialogo e il buon senso e che i licenziamenti possano ancora rientrare. Un’informazione pluralista ha ora più che mai bisogno di editori che riescono a valorizzare il lavoro dei propri dipendenti e di professionisti capaci che credono nel proprio lavoro ma che soprattutto hanno forte il senso della propria dignità. Senza editori seri e lavoratori con la schiena dritta l’informazione non va da nessuna parte e la Sardegna non vuole giornalisti con il bavaglio.