Succede quando si ha una persona amata che sta male, che si inizi quella ricerca febbrile di interlocutori, quella richiesta di aiuto per raggiungere luminari inaccessibili e remoti. E’ successo anche a me, che volevo entrare in contatto con l’Istituto Pasteur di rivolgermi al mio direttore, per un consiglio: chi poteva presentarmi, “raccomandarmi”? ma naturalmente Luigi, chiamalo, solo lui può aiutarti.
In realtà l’Istituto Pasteur aveva una efficiente casella di posta elettronica, io sono una bacchettone e non mi rivolsi al piduista condannato nel processo Enimont, il celebre scienziato chiamato a consulto, che nutriva un irritante disprezzo tutto francese per gli italiani, gallicamente superiore a tutto salvo ai quattrini sonanti, si prestò a un consulto. Ma l’ aneddoto è simbolico per capire fortune e successi, potenza e influenza, fama e mito del leggendario Luigi Bisignani, che come una madonna pellegrina celebra il suo giubileo di manovratore, suggeritore, mestatore, sbriga faccende multitasking, lungo trent’anni di vita italiana, grazie a un best seller del quale si legge soprattutto, come spesso avviene, l’indice dei nomi, molti dei quali presenti in tutti gli archivi giudiziari, negli elenchi di P2 e Gladio, in calce alle foto di premi e tavole rotonde di Dagospia, comparse irrinunciabili di quel teatro, nel quale vegeta il sottobosco più muscoso dei fori cadenti di Roma.
Ieri sera era a raccontare il saputo e il risaputo, l’ovvio e il mormorato, l’esplorato e il sibilato, che l’inesploso, il sospettato, il probabile veniva invece taciuto o sorvolato, grazie alla composizione del parterre, fisiologicamente indisponibile, salvo qualche sussulto poco credibile di Gomez, a fare il mestiere per il quale è lautamente pagato. Ma tutto altrettanto entusiasticamente, salvo Ferrara, dedito a accreditarsi come autorità morale, come soggetto deontologicamente incaricato di giudicare vita e opere, come interprete eticamente sensibile del malumore nazionale nei confronti di alleanze opache, cerchie imperiture, affiliazioni oscure. Dalle mie parti si dice che la padela dise su dela farsora e infatti alcuni momenti sono stati particolarmente significativi: l’accusa di familismo amorale per aver collocato il figlio ai vertici della comunicazione della Ferrari, come se la professione giornalistica tutta non fosse infestata di rampolli più o meno meritevoli, l’invettiva contro i cronisti aderenti alla loggia di Gelli, come se gli elenchi della massoneria non coincidesse con gran parte di quelli dell’Ordine e della federazione della Stampa, per non parlare di quelli di governi passati remoti e prossimi. A conferma dell’istinto irriducibile degli opinionisti a chiamarsi fuori nella convinzione di svolgere non un lavoro, ma una missione superiore, “essere” e non rappresentare l’opinione pubblica, avere conferma dei propri preconcetti, non essere informati per informare.
La verità è che quello che si vuole, opinionisti, politici, uomini di governo, imprenditori, insomma il ceto dirigente che non sa più essere elite, è identificare e accreditare un responsabile delle pratiche di corruzione, dell’esercizio della clientela, della trama di patti scellerati e clandestini, in modo che non si sveli che si tratta solo di un volto prestato, di un testimonial, di un idealtipo rappresentativo di un sistema che li integra tutti a vario titolo e a vari livelli di coinvolgimento.
Si è più facile scandalizzarsi per Wikileaks e Assange che per l’abitudine consolidata di organizzazioni, enti, ambasciate, governi a farsi gli affari nostri in modo spesso ridicolo, gridare all’offesa per la pubblicazione di intercettazioni ben più che per i crimini e l’illegalità che rivelano, imputare a una mezza figura i diabolici intrighi di un sistema di gestione del potere in tutte le sue declinazioni, con tutte le sue correità.
Il fatto è che nemmeno a Bisignani piace essere collocato nella sua giusta e meritata dimensione, poco più di un portaborse, poco più di un punching ball che sopporta gli schiaffi pur di stare in qualche cerchio magico, poco più di uno che trova numeri telefonici per eseguire prenotazioni esclusive, procura i biglietti per il palco autorità e promuove di classe nei voli Alitalia, uno che rivela sullo Ior meno di quello che pare abbia proclamato il papa vigente, su Andreotti meno del film di Sorrentino. Perché gli piacerebbe essere una figura uscita da Ken Follett mentre è solo una maschera logora della commedia all’italiana.