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La guerra durava oramai da molti anni nelle lontane terre di Thormhall. Dopo aver saccheggiato le campagne e raso al suolo le case, le persone sopravvissute erano scappate. In tutto il reame adesso, non si respirava altro che morte e desolazione.
Solo il castello del re era rimasto vivibile, seppure danneggiato dagli attacchi dei nemici. Il castello era situato proprio al centro della montagna di Thormhall, un vulcano inattivo che sembrava dormire da secoli, perennemente coperto dalla neve e avvolto da spesse nebbie grigie.
Solamente due persone erano rimaste a Thormhall: un bambino di nove anni chiamato Colin e sua madre, una gentildonna di nome Mary. Dopo che il re e la regina erano fuggiti, Mary si era rifugiata nel castello con il bambino che all’epoca aveva solo un anno.
Da quel giorno avevano vissuto lì, senza mai uscire, per un motivo in particolare. Da quando il re e la sua corte avevano abbandonato il castello, tutto il reame era stato invaso da delle bestie selvagge.
Colin ricordava che fin da piccolo, aveva sempre udito quegli ululati spaventosi, soprattutto di notte; quando si addormentava alzava la coperta fin sopra le orecchie per non udirli, ma lo stesso aveva paura che un giorno o l’altro uno di quei lupi sarebbe entrato dalla finestra per divorarlo.
La madre di Colin, non era quella che si poteva definire una donna affettuosa. Lo aveva sempre costretto a fare i lavori più massacranti: toccava a lui lavare i pavimenti, pulire i muri, provvedere al bucato e alle stanze. Quei lavori erano troppo duri per un bambino, e ogni volta che Colin chiedeva perché mai dovesse faticare tanto, sua madre gli rispondeva che in tempo di guerra era doveroso che anche i ragazzini lavorassero come gli adulti.
Il giorno in cui Colin compì dieci anni, sua madre si mostrò molto più nervosa e crudele del solito. Per tutta la mattina lo lasciò dormire, ma non appena giunse la sera lo chiamò nella sua camera da letto.
«Devo affidarti un compito» gli disse con voce autoritaria. «Stanotte uscirai dal castello.»
«No, ho paura!» rispose lui sussultando dalla sorpresa. «Fuori ci sono i lupi e tu mi hai sempre detto che hanno già mangiato tutti i bambini che vivevano qui!»
Mary incrociò le braccia al petto. «Sei sempre stato un bambino codardo e pigro, Colin. Se ti ordino di fare una cosa, tu la devi fare.»
Colin strinse le labbra e tirò su con il naso. «Ma, madre mia… Perché devo andare fuori?»
«Ho i miei buoni motivi, stanotte ti mostrerò ciò che devi fare» rispose lei. Lo spinse fuori dalla camera e sbatté la porta.
Per tutto il giorno Colin stette in ansia. Non mangiò nulla e nel pomeriggio, mentre accovacciato e triste puliva il pavimento della cucina sfregando lo straccio, le lacrime cominciarono a sgorgargli dagli occhi. Sua madre era sempre stata molto dura con lui: lo rimproverava per un nonnulla, gli urlava contro piena d’astio, e lo obbligava a lavorare come se fosse un suo servo.
Quando il sole tramontò lui ancora piangeva, e distinse a malapena la figura di Mary che lo fissava con severità. «Allora, sei pronto, Colin?» gli domandò con occhi duri.
Il bambino le si aggrappò alla gonna e si mise a strillare dall’angoscia. «No, no! Non voglio andare, ho paura dei lupi!»
«Sei veramente un vigliacco!» scosse il capo sua madre. Gli mise in tasca un tozzo di pane per la cena, lo prese per mano e lo trascinò fuori dal castello.
La luna piena brillava e striava l’immenso manto nevoso di una luce bluastra e fredda. Colin e Mary si fermarono davanti a una parete ripida, nera come il cielo di mezzanotte che li osservava dall’alto. Non appena la donna poggiò la mano sul muro, le pietre si sgretolarono e lasciarono una crepa, tanto sottile che solo un bambino avrebbe potuto attraversarla.
Mary cercò di farlo entrare. «Dovrai passare la notte dentro la montagna. Nasconditi e non farti vedere dai lupi, altrimenti ti divoreranno.»
Il bambino provò ad abbracciarla, terrorizzato e tremante, ma lei lo spinse con un colpo di ginocchio verso la crepa. Quando Colin fu dall’altra parte, la parete si richiuse alle sue spalle.
Si ritrovò solo e nell’oscurità. Cadde sulle ginocchia e si mise a piangere perché sapeva che le gallerie che percorrevano la montagna di Thormhall erano un vero labirinto: si sarebbe subito perso e i lupi l’avrebbero assalito.
Colin cominciò a camminare scoraggiato e malinconico, e si chiese perché sua madre fosse sempre stata così cattiva con lui: da quanto ricordava, lei non gli aveva mai dato un bacio, non lo aveva mai abbracciato, né lo aveva mai preso per mano. Alla fine si ritrovò proprio al centro della montagna.
Era una grande grotta, le rocce che la formavano sembravano fatte di diamanti e luccicavano come stelle. Colin rimase incantato ma non appena avanzò, udì echeggiare degli ululati.
Si fermò con gli occhi umidi e vide che era circondato da decine e decine di lupi, tutti dal manto bianco come la neve. Si mise a piangere e cadde stremato, sedendosi a terra.
I lupi invece, rimasero immobili a scrutarlo, con uno sguardo limpido e tranquillo. Con estremo stupore, Colin si rese conto che quegli animali non gli avrebbero mai fatto del male; prese dalla tasca dei pantaloni un po’ di pane e lo lanciò verso di loro, sperando di farseli amici.
I due lupi più grossi del branco mangiarono i bocconi e si avvicinarono. Chinarono il capo e Colin li accarezzò sopra le orecchie, affondando le dita nel manto soffice e candido. Tutti gli altri lupi lo circondarono e si lasciarono accarezzare, uno dopo l’altro.
Improvvisamente dalla parete rocciosa, come se fosse un fantasma, venne fuori sua madre Mary. Era furente, la sua faccia si mostrava rugosa e i capelli neri erano diventati color argento, aggrovigliati e sporchi. «Mangiatelo, maledette bestie! Che razza di lupi siete?» urlò diretta agli animali.
In quel momento Colin comprese che non aveva più paura dei lupi. Anche se per tutti quegli anni aveva sentito dire che l’avrebbero divorato, non gli avevano fatto del male.
Mary cominciò a strillare e a pestare i piedi dalla rabbia, si chinò a terra e si rimpicciolì tanto da svanire, coperta dai vestiti che infine bruciarono come un mucchio di cenere puzzolente.
I due lupi più grossi si alzarono sulle zampe posteriori e il loro corpo mutò, fino a diventare quello di un re e di una regina. Anche tutti gli altri lupi ritornarono a essere persone, alcune vestite con eleganza, altre vestite modestamente.
«Piccolo Colin!» La regina lo abbracciò e lo baciò, stringendolo forte a sé.
«Sei il nostro unico figlio» gli spiegò il re accarezzandogli il capo. «Quella non era tua madre ma la strega che dieci anni fa ci trasformò in lupi, costretti a vagare per questa montagna.»
Colin spalancò la bocca sbalordito e il re proseguì. «Mary era una delle ancelle di tua madre. La notte in cui finì la guerra, lanciò un incantesimo sull’intero reame per diventare regina. Io ti nascosi in questa grotta e lei non ti trovò. Quando se ne accorse ti prese con sé, perché sapeva che solo tu avresti potuto spezzare l’incantesimo, non avendo timore e toccandoci. Ti ha tenuto lontano da noi, perché solo dopo il decimo anno l’incantesimo sarebbe diventato irreversibile. Ma adesso ci hai liberati, perché hai seguito il tuo cuore, Colin. Non hai fatto del male a chi non ti ha mai ferito e non ti sei lasciato ingannare dalle apparenze.»
Colin visse con suo padre e con sua madre, regnando nella montagna innevata, e quello fu l’ultimo giorno in cui ebbe paura di ciò che c’era fuori dal castello di Thormhall.