Gli incidenti di percorso in cui sono incappati la Fca di Marchionne (senza offesa per l’eventuale signora) e la Renault sono stati ampiamente riportati dai media con esclusivo interesse alle Borse e trascurando anzi nascondendo completamente ciò che implicano: ovvero la falsa comunicazione che esce dalle grandi multinazionali in questo caso riguardo ai livelli reali di emissioni e la manipolazione dei dati, divenuta ormai una costante del discorso pubblico ad ogni livello.
Ma ciò che è ancora più interessante è capire cosa abbia indotto Marchionne a premiare le concessionarie perché gonfiassero i dati di vendita. Dato per scontato che l’uomo ha tanto pelo sullo stomaco da far invidia a un visone selvaggio, è evidente che le cose non devono andare troppo bene se si ricorre a un sistema come questo che coinvolge troppe persone per non essere a rischio. In Italia e in Europa si costringono i concessionari ad acquisti di modelli che poi verranno smaltiti a prezzo ribassato (i famosi chilometri zero o altre formule) in maniera da tenere alti i numeri di vendita, ma si tratta pur sempre di auto comprate da qualcuno, sia pure obtorto collo e il giochino non è una vera e propria truffa se non nei confronti dell’acquirente finale che magari è indotto a pensare che un certo modello tira sul mercato. Questa volta invece si è invece profumatamente ricompensata la sfacciata menzogna sulle vendite, resa possibile dalla legislazione statunitense.
Certamente la Fca è ancora molto fragile e l’ultima cosa che vuole è mostrare una flessione, specie dentro un mercato dell’auto impazzito. Ma questo è forse soltanto l’elemento scatenante e la ragione dei comportamenti scomposti sta nell’addensarsi di nubi temporalesche su un settore che ha goduto, contro ogni logica, di una crescita sospetta. Anzi totalmente artificiale e trascinata da una parte dai ridotti oneri finanziari, ma anche se non soprattutto dalla concessione di prestiti subprime per l’acquisto di veicoli, ossia di prestiti che prima o poi , in minore o maggiore misura saranno inesigibili.
Si è trattato di un circolo vizioso iniziato con incentivi tipo quelli che conosciamo, in particolare vendite senza alcun anticipo, ma proseguito con la concessione di prestiti all’acquisto “senza documentazione”. Questo ha prodotto, fin dal 2009 una crescita delle vendite, questa a sua volta ha fatto lievitare i listini del 15% ( del 25% per l’usato) e soprattutto ha indotto acquirenti che non dovevano dare alcuna prova della loro solvibilità a preferire modelli più costosi e aumentando dunque il rischio. Insomma la formula “No Credit. Bad Credit. All Credit. 100 Percent Approval” ha funzionato . Ma i prestiti per le auto sono aumentati di 80 miliardi dollari dal 2009 e almeno il 20 per cento di coloro a cui sono stati concessi ha probabilità pressoché nulla di restituirli, mentre un altro 30% è a forte rischio di insolvenza. Insomma si è creata una nuova bolla di cui si vedono già gli effetti con un aumento del 120% dei mancati pagamenti.
E’ chiaro che a questo punto che il meccanismo infernale non potrà andare avanti per molto e infatti alla fine del 2015 la propensione all’acquisto di auto era notevolmente calata. Perciò se non è più possibile vendere alla cieca. magari per ritrovarsi con insolvenze dopo tre o quattro anni di rate (la durata media dei prestiti è arrivata a sessantasette mesi), cioè con veicoli fortemente deprezzati, allora meglio far finta di vendere per tenere su le azioni, specie se si è alla testa di un gruppo che ha il suo core business nelle operazioni finanziarie più che sulla manifattura vera e propria. Del resto nessuno ci dice che questo non sia un metodo seguito anche dagli altri concorrenti per permettere al settore un atterraggio morbido su cifre di vendita più realistiche vista la situazione. E prima che la nuova bolla si carichi fino all’esplosione.